lunedì 26 gennaio 2015

QUANDO UN ITALIANO LEGGE GARCIA LORCA

Una lettera ricordando Croce a las cinco de la tarde.


Di Schüler, Schizzo per  Il Toro. Matita su carta

Non so per quale ragione, ma non credo importi, sono tornato a pensare a Benedetto Croce, il filosofo italiano che mi pare d’averti presentato, seppure brevemente, in un’altra lettera.

Spero che tu non sia una specialista in materia e che, nel caso, non ti scandalizzi questa semplificazione, ma questa è grossomodo la sua idea sulla relazione tra estetica e linguaggio: poiché la scrittura è un’operazione estetica ed è sicuramente un’espressione del linguaggio, ne consegue che il linguaggio stesso è un fatto estetico.
Penso che se si consideri il linguaggio come fatto sociale, nel suo evolversi, nel suo accettare parole nuove e scartarne di vecchie, nel suo cambiare il modo in cui queste sono pronunciate, possa davvero essere così.
Non per gli individui, però; non sempre. Vi sono parole, a volte intere frasi, che usiamo senza sottoporre al minimo vaglio critico. Le abbiamo apprese tali e quali durante la nostra infanzia e le pronunciamo,non solo per esprimere concetti elementari, senza operare la minima riflessione estetica.
Quando ci serve il sale, insomma, chiediamo “per favore mi passi il sale?” senza pensarci su e, allo stesso modo, non abbiamo in genere mai riflettuto su come suonino “pane” o “libertà”.
Le cose cambiano completamente quando siamo esposti a una lingua straniera; me ne rendo conto riflettendo su quel che mi sta accadendo con lo spagnolo.  Non l’ho studiato da giovane ed ho iniziato ad apprenderlo solo dopo essere venuto a vivere in Galizia; poche parole il giorno e ognuna indubbiamente accompagnata da una serie di considerazione di carattere estetico. Azahar, per esempio, mi pare un piccolo miracolo di poesia, come del resto la sua traduzione italiana, zagara, il fiore dell’arancio, che pure ho conosciuto solo da adulto. Alfombra, altra parola d’origine araba, mi pare pure affascinate, esotica, e mi canta d’odalische sdraiate al riparo dai raggi del sole. Tappeto, il suo equivalente italiano che conosco da sempre, invece, non mi suggerisce proprio nulla. Solo l’immagine di un tappeto. Oddio, cosa ho scritto; per favore consentimi di tagliare corto qui, senza neppure cercare di riassumere i termini di una querelle vecchia di un paio di millenni  e più; meglio lasciar dormire il vecchio Platone a quest’ora della notte.
Lascia piuttosto che ti dica di un altro pensiero che mi hanno indotto le mie esperienze di neofita dello spagnolo. Poco prima di partire, mentre cercavo non ricordo quale libro nella confusione  della mia biblioteca, mi sono trovato tra le mani una raccolta delle poesie di Federico García Lorca: una splendida edizione, rilegata in marocchino rosso, che Marina, sapendo del mio amore per i bei libri, mi aveva regalato in occasione di un mio compleanno. Uno spreco, perché allora conoscevo davvero poco lo spagnolo: dopo averla aperta una sola volta, non l’avevo più degnata di uno sguardo e, come capita con molti dei libri che ci regalano e qualcuno di quelli che compriamo, avevo finito per dimenticarne l’esistenza. Solo quel cuoio rosso, probabilmente, le aveva evitato di finire, con tutto quel che non ritengo degno d’occupare un posto nei sovraccarichi scaffali delle librerie, dentro gli scatoloni che tengo nel sottotetto.
L’ho sfogliata, godendo della sensazione ineffabile che quella meravigliosa carta bibbia regalava ai miei polpastrelli, fino a che mi sono trovato davanti agli occhi la più celebre delle poesie di Federico García Lorca: il Llanto por la muerte de Ignacio Sanchez Mejias; l’elegia funebre per il torero e poeta ucciso dalla cancrena, nel 1934, dopo esser stato ferito a una coscia, nell’arena di Manzanares, da una cornata del toro Granadino. (Non so se mi piacerebbe vedere una corrida e non so cosa tu possa pensare dell’argomento ma credo che dovremmo tener conto, prima di emettere le nostre sentenze, del fatto che di quel toro si ricorda il nome, mentre di quel che furono i nostri hamburger non si ricorda nulla).
Volendo mettere alla prova il mio spagnolo conquistato di recente, ho iniziato a leggere il Llanto (sì, il Pianto) cominciando, pare superfluo dirlo, dai primi versi della prima parte, La cogida y la muerte, Il cozzo e la morte, che anche tu, magari tradotti nella tua lingua, conoscerai benissimo:
A las cinco de la tarde.
Eran las cinco en punto de la tarde.
(Alle cinque della sera./ Eran le cinque in punto della sera)
Quanto mi è suonata tonda e cupa la o di quel cinco che si ripete qui in una precisazione che sa già di presagio e torna poi, ossessivamente, a ogni secondo verso: espressione di una realtà oggettiva, cosciente, che si contrappone alle immagini che l’inconscio strappa alla memoria; grave rullo di tamburo che scandisce i tempi del dramma:
Un niño trajo la blanca sábana
a las cinco de la tarde.
Una espuerta de cal ya prevenida
a las cinco de la tarde.
Lo demás era muerte y sólo muerte
a las cinco de la tarde.
...
(Un bimbo portò il bianco lenzuolo/ alle cinque della sera./ Una sporta di calce già preparata/ alle cinque della sera. Il resto era morte e solo morte/ alle cinque della sera).
Fino a che punto, però, queste mie sensazioni, parlo soprattutto di quelle sonore, si devono al lavoro del poeta? Quanto pathos c’è davvero in quel cinco? Suona così anche alle orecchie d’uno spagnolo o per lui non è diverso da come sono per me five, funf o cinque?
Ancora e più ingenerale: quanto di quel percepiamo leggendo è sovrimposto al testo dalla nostra cultura e dalla nostra sensibilità? Quanto, per finire, e tornando proprio alla mia rilettura del Llanto, è il portato delle nostre attese di lettori che, per una qualche ragione, pensano di conoscere già l’opera o il suo autore?
È difficile dare delle risposte a queste domande, ma t’invito a fartene di simili,  mentre prosegui, e voglio sperare che sia così nonostante il contenuto di questa, nella lettura delle mie lettere; in quella che, estendendo il ragionamento di Croce alla luce di quanto abbiamo appena considerato, non può che essere, anche da parte tua, un’operazione estetica


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