Due pillole sul nostro rapporto con l'inglese.
Insopportabili le polemiche in ambito linguistico. Più fastidiosa di tutte quella tra anglofili ed anglofobi. Insopportabili quelli che chiamano target l'obeittivo e share la quota; inqualificabili i loro opposti, più che oppositori, che arrivano a tessere l’elogio dell’ignoranza,
quando
affermano risoluti che, parlando la bella lingua di Manzoni (proprio così
diceva quel fine, e mai troppo presto dimenticato, intellettuale di Clemente
Mastella), non sentono il bisogno di conoscerne altre. Sradicati sotto vuoto
spinto i primi; provinciali fino al midollo i secondi.
Liquidati come fessacchiotti,
quelli che nel planner hanno segnato un meeting con il loro financial advisor,
resta da dire sui moltissimi che arrivano a fare della propria ignoranza
dell’inglese (e, per solito, della matematica, della fisica e di qualunque
materia scientifica) una prova della propria superiorità intellettuale. Nelle
loro ragioni, si mescolano provincialismo, resti di propaganda fascista e
semplice stupidità: tutta quella che serve per non riuscire a capire che
l’inglese, piaccia o meno, è la lingua “veicolare” della nostra epoca. E’
permesso ignorarlo, perché non si ha avuto modo di studiarlo o perché si
ritiene che, per il proprio lavoro e stile di vita, non valga la pena di
impararlo, ma resti chiaro che così sì è esattamente nelle stesse condizioni di
un abitante dell’Impero Romano che non avesse saputo né il latino né il greco.
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