martedì 13 gennaio 2015

IN NOME DEGLI ALTRI: SHAKESPEARE CONTRO LA FOLLIA DEI TEMPI.



Perché dobbiamo soccorrere i migranti, magari islamici, e non lasciarli affondare assieme alle bagnarole con cui cercano di raggiungere le nostre coste? E perché dovremmo trattare con giustizia quelli tra loro, magari con lunghe barbe e abiti strani, che si fermano a vivere e lavorare da noi?



Solo perché chiunque tra loro  potrebbero dirci questo: “Uno di noi non ha occhi? Uno di noi non ha mani, organi, membra, sensi, affetti, passioni? Non è nutrito dallo stesso cibo, ferito dalle stesse armi, soggetto alle stesse malattie, guarito dalle stesse medicine, riscaldato e raffreddato dalla stessa estate e dallo stesso inverno di un cristiano? Se ci pungete noi non sanguiniamo? Se ci fate il solletico, non ridiamo? Se ci avvelenate, non moriamo? E se ci fate un torto non dobbiamo vendicarci? Ma se siamo come voi nel resto, somiglieremo a voi anche in quello. Se un cristiano è oltraggiato da uno di noi, qual è la sua mansuetudine? La vendetta! Se uno di noi è oltraggiato da un cristiano, quale può essere, sull'esempio cristiano, la sua tolleranza? Ebbene, la vendetta! La malvagità che mi insegnate la metterò in opera e sarà difficile che io non abbia a superare i maestri”.


E’ quel che Shakespeare ha messo in bocca a Shylock, nella prima scena del terzo atto del Mercante di Venezia.  Ho solo sostituito “uno di noi” al suo “un ebreo”. Sono parole, d'altra parte, che valgono per tutti: per quelli sui barconi in mezzo al mare, come per quelli ridotti in semi-schiavitù a Rosarno o Villa Literno, come per me che scrivo queste righe e per voi che mi state leggendo.

2 commenti:

  1. Perché, in fondo, i migranti potremmo essere noi e quindi, aldilà di qualsiasi buonismo
    anche con un minimo di interesse, dobbiamo salvarli.

    Sempre

    Se vogliamo un mondo nuovo dobbiamo cominciare a costruirlo dalle aperture e non dalle chiusure, quelle
    fanno parte del vecchio

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