mercoledì 28 gennaio 2015

IL CONGIUNTIVO DELLA LIBERTA'

Due frasi della Lettera sull'umanesimo di Martin Heidegger

Di Schüler, Sguardo. Tecnica mista su tela, 1996

Una serata in compagnia di Martin Heidegger, non va mai presa alla leggera. Quasi inevitabilmente si conclude con un leggero mal di capo. Come tanti suoi colleghi, infatti, il filosofo scrive davvero male: precisa e ri-precisa, definisce e ridefinisce, fino a portare i propri lettori nella nebbia più fitta.


Ancor più inevitabilmente, leggendo le sue pagine si viene in contatto con delle idee che ci restano appiccicate; su cui non possiamo evitare di riflettere. Pur sapendo tutto questo, forse tratto in inganno dalla snellezza del volumetto, qualche giorno fa, dopo cena, mi sono messo a leggere la sua  Lettera sull’umanesimo. Un grave errore, perché due frasi che vi ho trovato, da allora mi ronzano per la testa. La prima è: “Il linguaggio è la casa dell’Essere”. Mi è venuto spontaneo travi una definizione operativa di Essere come abitante della casa del linguaggio. Scendendo dalle vette heideggeriane, e usando un terminologia forse grossolana, mi continua a parere una perfetta definizione di umanità: umano è chi si serve del linguaggio; chi parla, prima di tutto a se stesso, per pensare. Poco più avanti nel testo, elaborando quel primo concetto, il filosofo scrive anche che “i poeti sono i guardiani di quella dimora”. Non solo loro, mi viene da pensare, e non solo fare i guardiani. Poeti e scrittori, certo, ma anche i genitori, gli insegnati e più in generale gli educatori, del linguaggio di ognuno sono anche costruttori:  loro compito è anche aiutarci ad edificare un’abitazione dentro cui il nostro Essere possa realizzarsi pienamente. Il livellamento verso il basso della comunicazione e l’appiattimento del linguaggio alla ricerca, nelle migliore delle ipotesi, di una facile immediatezza, incarcerano l’Essere; lo rinchiudono in una nuda cella da cui non può evadere, non fosse altro che perché non riesce neppure a dirsi delle proprie potenzialità. Ridurre il linguaggio ai suoi rudimenti, mi viene da aggiungere, ricollegandomi a Wittgenstein, amplia la sfera dell’indicibile fino a far assumere al mondano, al triviale, le connotazioni del trascendente. Ci trasforma in semplici spettatori di una storia che non possiamo sperare di comprendere e tanto meno di cambiare. Scrivere e leggere, insegnare ed imparare, sono dunque, in sé, degli atti di resistenza. Usare a proposito il congiuntivo o scegliere l’aggettivo più adeguato sono passi: i primi, fondamentali, di qualunque cammino verso la libertà.

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