Due frasi della Lettera sull'umanesimo di Martin Heidegger
Di Schüler, Sguardo. Tecnica mista su tela, 1996 |
Una serata in compagnia
di Martin Heidegger, non va mai presa alla leggera. Quasi inevitabilmente si
conclude con un leggero mal di capo. Come tanti suoi colleghi, infatti, il
filosofo scrive davvero male: precisa e ri-precisa, definisce e ridefinisce,
fino a portare i propri lettori nella nebbia più fitta.
Ancor più inevitabilmente,
leggendo le sue pagine si viene in contatto con delle idee che ci restano
appiccicate; su cui non possiamo evitare di riflettere. Pur sapendo tutto
questo, forse tratto in inganno dalla snellezza del volumetto, qualche giorno
fa, dopo cena, mi sono messo a leggere la sua Lettera
sull’umanesimo. Un grave errore, perché due frasi che vi ho trovato, da
allora mi ronzano per la testa. La prima è: “Il linguaggio è la casa dell’Essere”.
Mi è venuto spontaneo travi una definizione operativa di Essere come abitante
della casa del linguaggio. Scendendo dalle vette heideggeriane, e usando un
terminologia forse grossolana, mi continua a parere una perfetta definizione di
umanità: umano è chi si serve del linguaggio; chi parla, prima di tutto a se
stesso, per pensare. Poco più avanti nel testo, elaborando quel primo concetto,
il filosofo scrive anche che “i poeti sono i guardiani di quella dimora”. Non
solo loro, mi viene da pensare, e non solo fare i guardiani. Poeti e scrittori,
certo, ma anche i genitori, gli insegnati e più in generale gli educatori, del
linguaggio di ognuno sono anche costruttori:
loro compito è anche aiutarci ad edificare un’abitazione dentro cui il
nostro Essere possa realizzarsi pienamente. Il livellamento verso il basso
della comunicazione e l’appiattimento del linguaggio alla ricerca, nelle
migliore delle ipotesi, di una facile immediatezza, incarcerano l’Essere; lo
rinchiudono in una nuda cella da cui non può evadere, non fosse altro che perché
non riesce neppure a dirsi delle proprie potenzialità. Ridurre il linguaggio ai
suoi rudimenti, mi viene da aggiungere, ricollegandomi a Wittgenstein, amplia
la sfera dell’indicibile fino a far assumere al mondano, al triviale, le
connotazioni del trascendente. Ci trasforma in semplici spettatori di una
storia che non possiamo sperare di comprendere e tanto meno di cambiare. Scrivere e
leggere, insegnare ed imparare, sono dunque, in sé, degli atti di resistenza.
Usare a proposito il congiuntivo o scegliere l’aggettivo più adeguato sono
passi: i primi, fondamentali, di qualunque cammino verso la libertà.
Interessante specialmente nell'ultimo passo
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