O almeno leggendo Numero Zero e un paio di altre cose sue.
Un amico mi ha inviato l’ultimo romanzo di Umberto Eco. Non
solo, dando prova della sua solita munificenza, ha infilato nel pacchetto altri
due libri dello stesso autore, che sa quanto io ammiri.
Insomma, abbastanza da farmi
passare in compagnia del nostro semiologo nazionale quasi tutte le serate della
scorsa settimana (e potersi permettere simili frequentazioni, mi pare sia tra
le ragioni migliori per indulgere nel vizio della lettura). Del romanzo, vi
voglio dire poco. Un po’ per non rovinarvi la sorpresa, se doveste
ancora leggerlo; molto perché, per antica abitudine, preferisco parlare solo
dei libri che mi piacciono davvero e Numero
Zero non è tra questi. Non è per niente male, intendiamoci, ma se mi
capitasse tra le mani una lista della spesa, scritta da Eco, probabilmente lo
direi anche di quella. Piuttosto preferisco parlarvi degli altri suoi libri che
ho appena letto. Delizioso, un bignè che purtroppo si finisce in un solo
boccone, o in un’oretta di lettura, Mnemo-tecniche
e rebus e il testo di una conferenza, che Eco ha tenuto all’università di
San Marino, sugli ausili alla memoria, in
particolare visivi, dal Rinascimento in poi. Lo pubblica Guaraldi, in
collaborazione con la stessa San Marino University Press. Ancor più buono, se mi
consentite di proseguire con la metafora pasticcera, e certo più corposo, La memoria vegetale è una raccolta,
pubblicata da Bompiani, di scritti che Eco ha dedicato in questi anni a bibliofili, bibliomani,
collezionisti ad amanti dei libri, antichi e non. Imperdibile, per chiunque appartenga a queste
categorie o anche solo sospetti di appartenervi. Leggendolo ho scoperto di
essere bibliofilo, e non bibliomane come temevo, perché leggo, o almeno penso
di leggere, tutti i libri che compro. Ho anche scoperto, come scrittore, di appartenere
ad una categoria. Quella, di cui Eco è avido collezionista, dei “folli
letterari”; di chi, detto altrimenti, si ostina a scrivere opere fuori dai
canoni, ben sapendo che rischia di non vederle mai pubblicate.
Confortante, specie costatando che per ogni Joyce, ci sono
decine di folli veri e di cui non è
rimasta traccia se non sugli scaffali della libreria dello stesso Eco. Molto
confortante. Al punto da mandargli, prima o poi, un paio dei miei libri.
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