Il sogno americano e gli incubi della nuova Europa.
Di Schüler, Angelo caduto, 2009. Matita su carta di 170 x 110 cm. Collezione privata. |
La più preziosa eredità
romana non è di pietre e marmi; è nell'idea che tutti, indipendentemente
dalla propria madre lingua e dalle proprie tradizioni, possano diventare
cittadini dell'Impero.
In Grecia scoccò la prima scintilla della ragione, ma è
Roma che innalza questa torcia per illuminare ogni angolo del mondo conosciuto.
Un'aspirazione all'universale, che supera il particolarismo della polis, dà
sostanza politica all'idea di koine, e avvia quello che potremmo definire il
programma classico della civiltà europea. Programma che gli umanisti ripresero
e che sottende il Rinascimento; universalità dell'umana ragione che è al cuore
dell'ultimo, vivissimo bagliore, della classicità europea: dell'Illuminismo che
ispirò anche la rivoluzione americana e gli estensori della Costituzione degli
Stati Uniti. Inteso questo, ha perfettamente senso parlare di America Romana;
vedere negli Stati Uniti, pur con tutte le loro contraddizioni ed i loro
problemi, gli unici eredi rimasti, perlomeno dal punto di vista ideale, dell'Europa classica.
Tutt'altro, invece, è il
mosaico di stati in cui è suddiviso il nostro continente. Barbari,
anti-classici, anti-europei, sono gli ideali che ne hanno ispirato la nascita:
quelli dei nazionalismi romantici, che non conoscono la luce d'Apollo, ma i
miti primitivi del sangue e della razza; che non si rivolgono alla ragione, ma
alle viscere dei popoli. Nazionalismi che ci sono costati decine di
milioni di morti, in due guerre mondiali
ed infiniti conflitti locali, ed hanno segnato, ben prima dell'arrivo della
globalizzazione, la fine del nostro primato. Tribalismi come quelli che ancora
ispirano che vorrebbe tracciare nuovi confini indipendentisti che, grattata via
la sottile patina del politicamente corretto, ragionano come Hutu o Tutsi;
localisti che non hanno, in realtà, altro ideale che la difesa della roba.
Indossano costumi e sventolano bandiere medioevali; sono davvero i figli dei
nostri secoli più bui. Spaventati da un mondo in cui non si riconoscono,
fuggono nel fitto della foresta dei propri pregiudizi; immaginano di potersi
salvare dalla barbarie rinchiudendosi, alzano mura sempre più alte. Non
capiscono di essere loro, i veri nuovi barbari. Si proclamano fieramente
europei; non sanno che con ideali come i loro l'Europa non sarebbe mai
esistita. Abitata da sparse tribù, guidate dal capo e dallo sciamano, non
sarebbe mai stata altro che una periferia boscosa dell'Asia.
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