Di Schüler, Sguardo giallo. Acrilico su tela preparata, 70 x100 cm Milano, collezione privata. |
Ho un paio di immagini fortissime
scolpite nella mente, mentre una verità mi è scoppiata nel petto. Ho dentro una
poesia. Tirarla fuori, farla diventare versi, mi sta costando fatica, come
sempre.
La folgorazione è cosa di un istante, ma
esprimerla, a noi mortali, può richiedere mesi o anni. Un paio di sere fa,
cercando nella grande cava del vocabolario un sinonimo di giallo, parola che
non mi è mai piaciuta, che sempre ho trovato sguaiata, ho incontrato flavo, che
proprio non avevo mai sentito prima se non dentro il nome di un colorante: la
flavina.
Non solo giallo, ma giallo carico, intenso,
precisava il sacro testo: perfetto, proprio quello che mi serviva.
Sì, ma … usare o no un così desueto
latinismo? Ammesso che non sia davvero uno di loro, non corro il rischio di
confondermi con quei poeti della domenica, tanto ben descritti da Borges, che
pensano basti una parola insolita a giustificare un verso? Soprattutto, i miei
lettori (2 o 3, lo so benissimo, e senza manzoniana modestia) comprenderanno il
significato di quell'aggettivo probabilmente inaudito anche per loro?
Ci ho pensato. Accidenti, semplificando
il lessico, limitandone l'ampiezza, finiremo per ridurci ai grugniti; qualcosa
di semplice, come vuole la moda (nel più etimologico dei sensi) e che sono in
grado di capire proprio tutti.
No no. Flavo lo userò. Eccome.
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