Sul Lebenswelt hussleriano
Di
Schüler, Toccata e fuga in Re minore. Acrilico su tela preparata al computer, 2009.
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Edmund Gustav Albrecht Husserl, matematico e filosofo, padre
delle Fenomenologia, allievo di Brentano e sua volta maestro di Martin
Heidegger, era un austriaco naturalizzato tedesco. Era anche un ebreo, però, e per
questo era appena stato cacciato dall’Università
di Friburgo
(la sua cattedra era stata assegnata proprio ad Heidegger, tutt’altro che critico verso il nazismo) quando,
nel 1936, completò La crisi delle scienze
europee e la fenomenologia trascendentale. Un’opera che non mi sogno certo di riassumere in poche righe. Vorrei piuttosto provare a riflettere su uno dei concetti
che ne stanno al cuore: quello di Lebenswelt
o mondo della vita. Non riesco neppure a darne una definizione semplice ed
univoca. Il mondo così come si presenta,
già usata da molti, potrebbe esserne una
buona approssimazione, a patto che si tenga
conto di come la nostra condizione socio-culturale e il momento storico
in cui viviamo alterino questa presentazione. Una presentazione che ha però
alla base una realtà elementare, intuitiva, pre-teoretica e pre-interpretativa:
proprio quella di questo porco mondo che abbiamo sotto i piedi. Dalla nostra esperienza
del Lebenswelt, detto altrimenti, traiamo miti e edifichiamo scienze che, in un
processo in continuo divenire, a loro volta vanno a modificare lo stesso Lebenswelt e la percezione che ne abbiamo.
Non un mondo, dunque, ma mille. Tanti quanti siamo, anzi; tanti quanti siamo
stati e saremo. Ma anche un mondo solo, quello direttamente accessibile ai
nostri sensi. Dove fa freddo e fa caldo, si ha fame e si ha sete. Un mondo che
sperimentiamo tutti allo stesso modo, tanto che quando due uomini si incontrano, per quanto possano essere diverse le loro
lingue e distanti le loto civiltà, trovano sempre un modo di comunicare. Perché
vivono sullo stesso medesimo pianeta, appunto. Perché sono due frammenti della
stessa umanità.
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