Da una delle lettere
Di Schuler, Il poeta, 2007. Acrilico su tavola di 50 x 50 cm. |
(...) Forse sarebbe meglio che ti salutassi qui, ma tutto
questo parlare di vocazione mi ha riportato alla mente il nome di Jerome David
Saliger, al cui capolavoro avevo già pensato, a dire il vero, scrivendoti la
prima parte di questa lettera.
Cosa c’entra il baccalà alla palermitana con The
Catcher in the Rye, Il giovane Holden?
Avevo quindici anni quando lessi questo libro per la
prima volta e mi colpì moltissimo una frase che incontrai a metà della sua
prima pagina: “L’aria era fredda come i capezzoli di una strega”. Inutile dire
quale fu la parola che mi turbò, in quell’epoca di tempeste ormonali, e sai che
sono troppo gentiluomo per dirti quale immagine di Charo, rimasta nella mia
memoria dalla sera seguente a quella in cui cucinai quel baccalà, me ne abbia
fatto ricordare.
Stai sorridendo, ma pensi anche che abbia sprecato il
povero Holden leggendolo ad un età in cui non ero in grado di apprezzarlo a
fondo?
Non penso vi sia un momento migliore, invece, per
affrontare un’opera che ha per temi centrali proprio il dolore del crescere e
la perdita dell’innocenza; il desiderio di entrare nel mondo degli adulti,
quasi per un richiamo di natura, e la paura che abbiamo di finire per
appartenere ad una società che sentiamo come falsa e ingiusta.
Temi che valgono per tutti gli adolescenti, arrivai a
considerare rileggendolo poi, quando delle mia innocenza era ormai rimasto ben
poco, persa in mezzo alle bugie che per sopravvivere dentro la comunità degli
adulti dobbiamo raccontare anche a noi stessi. Non solo; temi perfettamente europei;
quelli di un bildungsroman prototipale, come potrebbe averlo scritto un nipote
di Mann e, soprattutto, di Musil.
Allora potei rivalutare anche la scrittura di Saliger
che da ragazzino, per via di quel suo linguaggio tanto piano, quasi povero, non
mi era sembrato meritasse troppe
attenzioni. Con la sensibilità affinata da un buon ventennio di letture,
compresi come lo stile de Il giovane Holden, che mi era apparso così colloquiale,
familiare se vuoi, fosse in realtà il risultato di un fraseggio dalla struttura
estremamente raffinata, che ricordava Joyce, nell’uso del flusso di coscienza
come tecnica narrativa, e addirittura Proust nella capacità di avviare
digressioni e aprire successive parentesi.
Parrebbe un romanzo scritto in mezzo all’Atlantico, arrivai
a dirmi, con un piede in America e l’altro in Europa, di quella che avevo fin
lì considerato un’opera tipicamente statunitense. Compresi, soprattutto, fino a
che punto fosse un capolavoro assoluto, di quelli che tutti noi che pestiamo su
una tastiera vorremmo esser capaci di concepire.
Mi venne voglia di sapere qualcosa di Salinger, di cui
solo conoscevo il nome, e delle sue altre opere che non avevo ancora letto.
Permettimi di riassumerti i risultati di quelle mie ricerche, perché credo siano
utili per capire tanto l’unicità della
sua figura di scrittore, quanto perché rientria nel nostro discorso sulla
vocazione.
The Catcher in the Rye, Il giovane Holden, con cui è arrivato alla celebrità
ed è entrato nella storia delle letteratura, è stato il primo romanzo che
Salinger, fin lì autore di qualche racconto apparso sul New Yorker Magazine,
abbia pubblicato, nel 1951.
Dopo di questo, bisogna attendere il 1961 perché due
suoi racconti lunghi Franny e Zooey, già apparsi separatamente,
siano riuniti in un volume. Lo stesso accade nel 1963 quando è pubblicato il
volume in cui sono stati riunti altri
due racconti apparsi sulla solita rivista, Raise high the roof beam,
Carpenters, Alzate l’architrave, carpentieri, eSeymour.An introduction,
Seymour. Introduzione.
Da allora e fino alla sua morte avvenuta nel 2010,
Salinger non ha più pubblicato nulla, con l’eccezione di un ultimo racconto
dato alle stampe nel 1965. Mezzo secolo di silenzio pressoché assoluto, in cui
lo scrittore ha rilasciato solo un paio d’interviste e ha vissuto in un paesino
del New Hampshire, lontano da tutto e da tutti.
Una lunghissima crisi creativa, la sua? Una specie di
ergastolo dell’ispirazione, punizione per un successo troppo grande ed arrivato
troppo presto?
No. A sentire i pochissimi che frequentava, Salinger
ha continuato a scrivere per tutti quegli anni, con metodo e disciplina,
terminando un’opera dopo l’altra. Non consegnava i propri manoscritti agli
editori, che li avrebbero pagati profumatamente, per una scelta che spiegò
così: “Non pubblicare mi dà una meravigliosa tranquillità...Mi piace scrivere.
Amo scrivere. Ma scrivo solo per me stesso e per mio piacere”.
Non so fino a che punto le cose stiano così, ma
preferisco pensare che Salinger fosse talmente fedele alla propria vocazione di
scrittore da rinunciare anche ai suoi frutti pur di restarle fedele; che abbia
evitato il contatto con editori e lettori, rinunciando al denaro che ne sarebbe derivato, per scrivere senza
distrazioni e davvero a proprio
piacimento. Motivazioni che credo possano spiegare anche il suo bisogno di
riservatezza; la sua rinuncia, per così dire, alla fama.
A questo proposito, mi ero appuntato un’altra sua
frase: “Il desiderio che uno scrittore ha di anonimato/oscurità è la seconda
dote più importante che gli sia stata affidata”.
Dici che mi somiglia? Nel bisogno di tranquillità
certamente, anche se non è certo per sfuggire ad una fama che non ho mai avuto
che vivo in modo simile al suo. Niente a che vedere con le sue ragioni, poi,
quelle per cui io non ha mai pubblicato un romanzo. Io scrivo anche per me
stesso, ma ho bisogno di avere dei lettori; me ne basta uno, ma sogno di averne
milioni. Se ho tenuto per me tutto quello che ho completato sino ad ora,
Reader, è per il semplicissimo motivo che non valeva la pena pubblicarlo. “Non
ci sono capolavori nei cassetti” ha detto qualcuno. La frase vale anche oggi,
sostituendo hard-disc alla sua ultima parola, e sicuramente vale per quanto mi
riguarda.
Perché persevero? Sì: perché scrivere è la mia
vocazione.
E se sono riuscito a spiegarti cosa significa per me,
sai già che continuerò, proverò e riproverò fino a quando, domani o tra venti
anni, se ci sarò ancora, riuscirò a farlo bene.
In un modo, in un altro o, se necessario, in un altro
ancora.
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