martedì 3 marzo 2015

VON TROTTA, IL CAPOSTAZIONE E GLI ALTRI VOLTI DI JOSEPH ROTH

Da una mia lettera


Di Schuler, Bozzetto per Cavaliere e cavallo, tecnica mista su carta di 30 x 30 cm.


Ieri, sono stato a pranzo da Frau Rabensteiner. Stavo sorseggiando il caffè  (l’ho preparato io: dopo mangiato mi serve un espresso italiano, ma credo di avertelo già scritto)  quando dalla radio è arrivato il rullo di tamburo con cui attacca la Marcia Radetsky di Johan Strauss, 


l’inno alla gloria dell’impero Austro-Ungarico che, anche ai giorni nostri, è puntualmente eseguito in ognuno dei celebri concerti di capodanno della filarmonica viennese. Perso dentro i miei pensieri, però, neppure me ne sarei accorto se la mia ospite, forse iniziando ad annoiarsi per il mio silenzio, non avesse commentato: “L’ho letta tanti anni fa, in inglese. Dovrei rileggerla in tedesco, ora che conosco la lingua”.

“Sì, certamente potrebbe”, le ho risposto subito d’istinto, mentre i miei tre neuroni abbandonavano in tutta fretta quel che stavano facendo per  cercare di capire a cosa si stesse riferendo la signora. A loro onore va detto che, nonostante l’età, e le mie abitudini non sempre salubri, è bastato loro un istante per effettuare i necessari collegamenti e salvarmi da una figuraccia permettendomi di aggiungere un “eh … povero Von Trotta” che spero non abbia lasciato dubbi sulla vastità delle mie letture.

Radetzkymarsch, e Frau Rabensteiner non poteva che star parlando di questo, è infatti anche il titolo del più famoso tra i romanzi di Joseph Roth, un altro dei miei amati narratori di storie d’uomini senza qualità.

Ripensandoci, avrei potuto dire “povero” anche di lui.  Figura chiave della cultura ebraica nell’Europa tra le due guerre, ebbe un’anima inquieta e, che si sia convertito al cattolicesimo come vorrebbero molti o no, dovette trovare la forza per mettere in discussione la propria fede; qualcosa di cui i più fortunati, qualunque sia il loro credo, non hanno necessità.
Ebbe, sotto ogni aspetto, una vita tragica. Sua moglie divenne schizofrenica dopo pochi anni di matrimonio, fu internata in un ospedale psichiatrico e successivamente cadde  vittima del programma  di igiene razziale hitleriano. Lui arrivò alla ricchezza e al  successo, come giornalista nella Germania di Wiemar, ma fu costretto a riparare in Francia, per sfuggire alle persecuzioni naziste, e morì a Parigi, poverissimo, solo e alcolizzato, alla vigilia della seconda guerra mondiale.

Radetzkymarsch, per tornare al romanzo, che fu pubblicato nel 1932, l’anno precedente l’ascesa al potere di Hitler, e di cui credo sia appena apparsa una nuova traduzione nella tua lingua, è un’opera intrisa d’ironia in cui Roth narra l’ascesa e caduta della famiglia Trotta, che arriva alla nobiltà quando il primo conte o barone, non ricordo bene, nel corso della battaglia di Solferino, salva nel più casuale dei modi la vita dell’Imperatore. 

Si tratta di una saga dunque,  parodia di altre, celeberrime, della letteratura di lingua tedesca, e nel contempo di una metafora del destino austriaco. Per conoscere il suo amarissimo finale, bisogna leggere, però, un’altra opera di Roth, Die Kapuzinergruft, La cripta dei cappuccini, scritta nel 1938, dopo la sua emigrazione in Francia. È al protagonista di questo romanzo, Francesco Ferdinando Trotta, ultimo della dinastia, che si ritrova senza un patria ed un imperatore da servire, che si riferiva quel mio “povero”. 

La domanda che si pone mentre, alla fine dell’orario delle visite, è obbligato a lasciare la cripta dove sono sepolti i sovrani di un’Austria che non esisteva più. “e adesso cosa può fare un Trotta” è simile a quella a cui ognuno di noi scopre di non spaer rispondere, quando il proprio mondo finisce.

Due grandi romanzi, dunque, La marcia di Radetsky ed il suo seguito, ma il mio Roth preferito è un altro. È lo scrittore tardo espressionista dei primi anni venti; l’acuto osservatore di fenomeni sociali che ci ha lasciato Das Spinnenetz, La tela di ragno, un profetico monito sui pericoli del nazismo, e il maestro di satira autore di Hotel Savoy, un albergo ai confini dell’Europa dove i soldati si fermano riposare, nel lungo viaggio che li sta riportando a casa dopo anni di guerra e prigionia e che è, una volta ancora (quello della finis Austriae è uno dei temi più ricorrenti della produzione di Roth), specchio dove cogliere gli ultimi riflessi di un mondo, quello dell’Impero Austro-Ungarico, già ineluttabilmente destinato all’oblio.


Non sei d’accordo con me? Preferisci il Roth più famoso? O forse l’autore di racconti deliziosi, tra cui spicca quel piccolo capolavoro intitolato Stationschef Fallmerayer, Il capostazione Fallmerayer? O forse ti piace di più il poeta o, ancora, il giornalista? Bene, non potrei in ogni caso che complimentarmi  con il tuo buongusto. I grandi autori, come le loro opere, hanno di che piacere a tutti, ma non a tutti per le medesime ragioni: sta alla sensibilità e curiosità di ogni lettore trovare le proprie.

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