Da un'opera di Wilde, da una musica di Richard Strauss. dalla Bibbia e dalla notte dei tempi. La mia Salomé in una delle Lettere dalla fine del mondo.
(...) Mi
sono messo, infatti, a lavorare a Salomé
fin dall’alba, e una volta tanto non per scherzo, dato che saranno state
le sette e mezza, al massimo, quando ho acceso le luci dentro il capannone; era
inutile che restassi a letto a pensare ad un problema, quello rappresentato da
quel ginocchio sollevato, che potevo sperare di risolvere solo utilizzando
l’intelligenza delle dita.
No, non si tratta di una metafora più o meno
poetica, né di un riferimento ad un qualche esoterico sesto senso che avremmo
solo noi scultori; è semplicemente il
modo in cui chiamo, non conoscendone altri che magari sono appannaggio della
neurofisiologia e delle altre scienze cognitive, il risultato del lavorio di
quelle parti del cervello che sono più direttamente coinvolte con il nostro
senso del tatto e con il movimento delle mani e dita. Si tratta di un’
intelligenza che va oltre la razionalità che usiamo, si spera, nella nostra
vita quotidiana; simile, se non proprio uguale, a quella che i jazzisti
esibiscono nelle loro improvvisazioni. Hai mai visto un grande pianista jazz
come Friedrich Gulda, per esempio, creare musica? Le sue dita trovano le note
giuste, mentre improvvisa, con straordinaria velocità e precisione, con
assoluta e facile naturalezza, come se le mani conoscessero già in anticipo
quali tasti andare a cercare per produrre quella combinazione di suoni che,
pure, non è mai esistita prima. È questo
il risultato di anni di studio? Certamente, come pure, di qualcos’altro; di
quella indefinibile qualità, che tutti possiedono, ma non tutti nella stessa
misura, e che il tempo può affinare solo fino ad un certo punto, di cui ti sto
appunto parlando.
Stavo
scolpendo da almeno tre ore, ad ogni modo,
accarezzando ogni pochi colpi di sgorbia le superfici e le curve che
definiscono il ginocchio di Salomé,
per valutarne il fluire come gli occhi non avrebbero saputo fare, quando
qualcuno è venuto a suonare il campanello
risvegliandomi da quello stato simile alla trance.
Non
mi ero, fino ad allora, fermato neppure un momento; non avevo neppure avuto la
tentazione di allontanarmi di qualche passo dalla statua per verificare come
stessi procedendo.
L’ho
fatto solo allora, voltandomi per qualche istante, dopo aver raggiunto la porta
del capannone, mentre stavo per uscire a vedere chi fosse il disturbatore e
cosa volesse; mancava ancora molto lavoro prima di proclamare concluso quel brano
di scultura, le tracce della sgorbia dovevano essere ancora spianate con gli
scalpelli e poi il tutto andava ancora levigato a dovere, ma potevo già
costatare che il movimento di Salomé si era fatto certamente più
naturale, più continuo, rispetto a quello che ieri sera mi aveva lasciato così
perplesso.
Di
che essere soddisfatto, rinnovare la mia fiducia nell’intelligenza delle mie
dita e continuare a sorridere al postino anche dopo che questi, agitando una
penna, mi ha fatto segno di raggiungerlo al cancello per firmare qualcosa.
Sorriso,
il mio, che è diventato ancora più largo e convinto quando ho scoperto che non
si trattava di una multa o di una cartella delle tasse, quel che mi doveva
consegnare, ma di un pacchetto speditomi da Diego. Conteneva, e lo sapevo già perché me ne aveva
annunciato l’invio con un telefonata, un ordigno di cui pensava non potessi
fare più a meno e che, dopo averlo sperimentato di persona, voleva regalarmi:
un lettore di libri elettronici.
Ho
firmato quel che dovevo, l’ho ritirato e me lo sono portato in casa. Ho messo
su il bollitore per farmi un caffè alla tedesca, l’ho liberato dall’imballaggio
e, per mia disgrazia, ho cominciato a giocarci.
Disgrazia, perché non ho più
lavorato per il resto della giornata.
Che
dirti, Reader? È bastato che accendessi quella piatta scatoletta di
plastica e, dopo aver dato un’occhiata
alle istruzioni, andassi a vedere l’elenco dei libri che c’ erano già infilati
dentro , perché mi perdessi completamente.
Odio
leggere sullo schermo di un computer,
credo proprio di avertelo già scritto, ma con quel coso era completamente
diverso; grazie all’inchiostro elettronico (spero si chiami così) era proprio
come se stessi leggendo un foglio carta.
Ho
sfogliato una ventina di classici in tre o quattro lingue, quindi, dopo essermi
fatto un panino, ho pranzato con quello, cercando nel frattempo di capire come
fare per infilare dentro al lettore delle nuove opere. Non è stato troppo
difficile. Con un apposito cavetto ho connesso il lettore al portatile e, da
questo, vi ho riversato il testo che ero prima andato a scaricarmi dal sito di
una delle più grandi biblioteche pubbliche on-line.
Di
cosa si è trattato? Beh, per provare il mio nuovo giocattolo, ho scelto proprio
l’originale francese della Salomé di
Oscar Wilde; la tragedia che ha ispirato l’opera lirica di Richard Strauss che,
a sua volta, mi ha ispirato la statua.
Una
scelta naturale, ma un poco sofferta, perché avevo già deciso di acquistarne
presso qualche libraio dell’usato, se non proprio da un antiquario, una bella e
vecchia copia che stesse bene, sullo scaffale della mia libreria, accanto ai
tre libri di Oscar Wilde che già posseggo.
Si
tratta di The picture of Dorian Grey,
il Ritratto di Dorian Gray, a dire il vero in un’edizione tascabile da pochi
soldi, e, al suo fianco, di The Happy
Prince and other tales, Il Principe Felice e altri racconti, con la
copertina ora mezzo strappata, ma sempre con delle bellissime illustrazioni a
colori, che mia madre mi ha comprato durante una sosta a Londra, in viaggio verso
l’Irlanda, quando avevo una decina d’anni.
(Se
pensi che sia un vecchiaccio senz’anima, pensa che mi scende ancora una
lacrimuccia, se rileggo la storia del Piccolo Principe: un cuore, insomma,
dovrei ancora avercelo). Il terzo libro di Wilde si trova infilato tra i primi
due come una fetta di prosciutto tra due grosse fette di pane; il suo dorso non
si vede neppure, tanto è sottile: è una bellissima edizione in carta bibbia e
rilegata in seta, risalente ai primi anni del Novecento, di The importance of being Ernest,
L’importanza di essere Ernesto.
Potevo
risparmiarmi questa divagazione? Vero, ma fatto sta che il mio quarto Wilde
sarà solo una collezione di byte dentro un aggeggio, e la cosa non mi piace del
tutto. Potrei compare comunque una Salomé di carta, dopo aver letto quella
elettronica? Vero pure questo, ma, come dire … non sarebbe la stessa cosa. E
poi mi è sempre riuscito difficile spendere del denaro per comprare dei libri
che avessi già letto; è una delle ragioni per cui non sono un vero bibliofilo.
Salomé, ad ogni modo, è una lettura agevole, nonostante la mia perfettibile
conoscenza del francese, ed assai più breve di quanto l’avessi immaginata; non
più lunga di una quarantina di pagine.
Dato
che è semplicemente la messa in scena del racconto bilico, la sua trama,
inoltre, non contiene straordinarie soprese: Salomé, figliastra di Erode
Antipa, si esibisce per il patrigno nell’erotica danza dei sette veli,
ottenendone in cambio la testa di Giovanni Battista che aveva osato
respingerla. Neppure il bacio che Salomé dà alla testa mozzata, al culmine
della rappresentazione, è una novità assoluta; già Heinrich Heine aveva
inserito la scena nella sua tragedia sullo stesso argomento. Una delusione,
dunque? Assolutamente no. La mia statua s’inspira ad un’opera lirica che si
basa su una tragedia, forse in parte ispirata da un’altra tragedia, che a sua
volta si basa su un tema presente nella bibbia? Meraviglioso e, allo stesso
tempo, per nulla sorprendente o, tanto meno, scandaloso.
Non
fu completamente originale Wilde? Non lo sono io come non lo è nessuno, da
qualche decina o centinaio di migliaia di anni a questa parte. Guarda sotto la
pelle di qualunque opera d’arte, leva le sedimentazioni lasciate da secoli di
storia, le trasformazioni apportatevi dalla sensibilità dell’artista, risultato
tanto del suo carattere quanto della sua epoca, e ritroverai modelli
antichissimi; uno o l’altro di quei pochi archetipi che, trasmessi quasi
immutati da una generazione all’altra, rappresentano il vero e proprio DNA culturale
dell’umanità. (...)
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