Un tentativo di traduzione. Da una delle Lettere dalla fine del mondo.
A
proposito di artisti e notti insonni, passate a scrivere in una casa in riva al
mare, ti lascio con un poema che sto traducendo in italiano.
L’ha
scritto Dylan Thomas, uno dei rarissimi maghi della parola che la modernità
abbia prodotto, ed è uno dei più famosi tra quelli che compongono la sua
raccolta più celebre, Deaths and
Entrances, Morti e Ingressi, pubblicata nel 1946 e in larga parte
incentrata sugli effetti della Seconda Guerra Mondiale.
Te
lo riporto qui sotto. Leggilo ad alta voce; non c’è altro modo di render
giustizia al lavoro del poeta gallese.
Senti
il ritmo vellutato del verso, che s’increspa in certi punti, per frangersi poi
con la subitanea ed inevitabile naturalezza della cresta di un’onda; ammira il
modo in cui quelle parole si accostano tra loro, suonano e risuonano. Pare
impossibile che esistano già così nel vocabolario; che non sia stato il poeta
ad inventarle a bella posta. Che non siano state tagliate su un disegno
preordinato, come le pietre cui lo scalpello dava forma perché componessero,
una volta messe al proprio posto, l’ideale armonico della facciata di una
cattedrale.
È
questa la vera poesia? Non lo so, Reader, e penso che nessuno possa sapere cosa
sia o no poesia, come nessuno può dare una regola che stabilisca dove finisca
la musica ed inizi il rumore.
Tutto
dipende, come sempre, da quel che il lettore, o l’ascoltatore, trova in quelle
parole, o in quelle note. Quella del poeta, o del musicista, è sempre e solo
una proposta. Detto questo, mi resta il dubbio che l’ansia post-moderna di
verità e significati, ci abbia fatto scordare cosa può arrivare ad essere la
poesia; che ci si sia talmente imbarbariti da non comprendere più che l’arte è
la più alta testimonianza del nostro ingegno anche perché non deve, solo può,
significare o servire.
Sorrido,
arrivato al momento di salutarti, anche se la mia traduzione fa proprio pena;
non so fare di meglio, ma non ha nulla delle sonorità dell’originale, come
potrai facilmente costatare, pur non sapendo l’italiano e sempre che tu lo
voglia, andandola a leggere qua sotto.
In My Craft or Sullen Art
In my craft or sullen art
Exercised in the still night When only the moon rages And the lovers lie abed With all their griefs in their arms, I labour by singing light Not for ambition or bread Or the strut and trade of charms On the ivory stages But for the common wages Of their most secret heart.
Not for the proud man apart
From the raging moon I write On these spindrift pages Nor for the towering dead With their nightingales and psalms But for the lovers, their arms Round the griefs of the ages, Who pay no praise or wages Nor heed my craft or art. |
Nel mio mestiere o arte
scontrosa
Nel mio mestiere o arte scontrosa Esercitato nella notte silente Quando solo la luna infuria E giacciono gli amanti nel letto Con tutte le loro pene tra le braccia, Io fatico accanto alla luce che canta Non per ambizione o pane O la vanità e il commercio d’incanti Sui palcoscenici d’avorio Ma per il comune salario Del loro cuore più segreto. Non per l’uomo fiero in disparte Dalla luna rabbiosa io scrivo In queste pagine spruzzate di schiuma Né per i morti che torreggiano Coi loro usignoli e salmi Ma per gli amanti, le loro braccia Attorno alle pene d’ogni era, Che non pagan elogio o salari Né fan caso al mio mestiere o arte |
Nessun commento:
Posta un commento