mercoledì 3 dicembre 2014

CARAVAGGIO, I CINESI E QUALCHE PERPLESSITÀ SUL NUOVO.



Caravaggio, come pochissimi, segna un prima e un dopo nella storia dell’arte, tanto sconvolgente è la sua novità. Resta però chiaramente distinguibile la sua genealogia; si possono seguire i fili che intessono la sua poetica. E` la più lampante dimostrazione di come si possa, pur restandovi, mutare radicalmente la tradizione.


Qualcosa di ben noto ai cinesi (ho il sospetto che sorridano delle nostre avanguardie) la cui arte è tutta vertebrata dalla tradizione. Il pittore cinese compone alberi e montagne, padiglioni e laghetti, come fossero note, ciascuna definita in modo immutabile, per creare melodie che pure seguono schemi prefissati. I nostri occhi profani non sanno distinguere quel che è stato dipinto cinquant’anni fa da quel che è di mille anni più antico; non discernono l’opera del maestro da quella del mero seguace. E’ un arte, quella cinese, già perfettamente astratta che, come quella moderna, secondo Ortega y Gassett, divide tra chi sa e chi no; tra chi sa valutare il ritmo e la fluidità delle pennellate, e chi di un opera sa solo vedere il contenuto iconico. Un arte dove il nuovo non è mai fine a se stesso, ma logico, anzi fisiologico, risultato degli individuali carattere e sensibilità dell’artista. 

Qualcosa che dovrebbe indurci a riflettere sul nostro rapporto di moderni occidentali con la novità, e non solo in pittura.

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