Caravaggio, come pochissimi, segna un prima e un dopo
nella storia dell’arte, tanto sconvolgente è la sua novità. Resta però
chiaramente distinguibile la sua genealogia; si possono seguire i fili che
intessono la sua poetica. E` la più lampante dimostrazione di come si possa, pur restandovi, mutare radicalmente la tradizione.
Qualcosa di ben noto ai cinesi (ho il sospetto che
sorridano delle nostre avanguardie) la cui arte è tutta vertebrata dalla
tradizione. Il pittore cinese compone alberi e montagne, padiglioni e laghetti,
come fossero note, ciascuna definita in modo immutabile, per creare melodie che
pure seguono schemi prefissati. I nostri occhi profani non sanno distinguere
quel che è stato dipinto cinquant’anni fa da quel che è di mille anni più
antico; non discernono l’opera del maestro da quella del mero seguace. E’ un
arte, quella cinese, già perfettamente astratta che, come quella moderna,
secondo Ortega y Gassett, divide tra chi sa e chi no; tra chi sa valutare il
ritmo e la fluidità delle pennellate, e chi di un opera sa solo vedere il
contenuto iconico. Un arte dove il nuovo non è mai fine a se stesso, ma logico,
anzi fisiologico, risultato degli individuali carattere e sensibilità
dell’artista.
Qualcosa che dovrebbe indurci a riflettere sul nostro
rapporto di moderni occidentali con la novità, e non solo in pittura.
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