martedì 10 febbraio 2015

UNA SETTIMANA CON UMBERTO ECO

O almeno leggendo Numero Zero e un paio di altre cose sue.





Un amico mi ha inviato l’ultimo romanzo di Umberto Eco. Non solo, dando prova della sua solita munificenza, ha infilato nel pacchetto altri due libri dello stesso autore, che sa quanto io ammiri. 


Insomma, abbastanza da farmi passare in compagnia del nostro semiologo nazionale quasi tutte le serate della scorsa settimana (e potersi permettere simili frequentazioni, mi pare sia tra le ragioni migliori per indulgere nel vizio della lettura). Del romanzo, vi voglio dire poco. Un po’ per non rovinarvi la sorpresa, se doveste ancora leggerlo; molto perché, per antica abitudine, preferisco parlare solo dei libri che mi piacciono davvero e Numero Zero non è tra questi. Non è per niente male, intendiamoci, ma se mi capitasse tra le mani una lista della spesa, scritta da Eco, probabilmente lo direi anche di quella. Piuttosto preferisco parlarvi degli altri suoi libri che ho appena letto. Delizioso, un bignè che purtroppo si finisce in un solo boccone, o in un’oretta di lettura, Mnemo-tecniche e rebus e il testo di una conferenza, che Eco ha tenuto all’università di San Marino, sugli ausili  alla memoria, in particolare visivi, dal Rinascimento in poi. Lo pubblica Guaraldi, in collaborazione con la stessa San Marino University Press. Ancor più buono, se mi consentite di proseguire con la metafora pasticcera, e certo più corposo, La memoria vegetale è una raccolta, pubblicata da Bompiani, di scritti che Eco ha dedicato  in questi anni a bibliofili, bibliomani, collezionisti ad amanti dei libri, antichi e non.  Imperdibile, per chiunque appartenga a queste categorie o anche solo sospetti di appartenervi. Leggendolo ho scoperto di essere bibliofilo, e non bibliomane come temevo, perché leggo, o almeno penso di leggere, tutti i libri che compro. Ho anche scoperto, come scrittore, di appartenere ad una categoria. Quella, di cui Eco è avido collezionista, dei “folli letterari”; di chi, detto altrimenti, si ostina a scrivere opere fuori dai canoni, ben sapendo che rischia di non vederle mai pubblicate.

Confortante, specie costatando che per ogni Joyce, ci sono decine di folli veri  e di cui non è rimasta traccia se non sugli scaffali della libreria dello stesso Eco. Molto confortante. Al punto da  mandargli, prima o poi, un paio dei miei libri.

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