martedì 3 febbraio 2015

EUROPA BOCCACCESCA

John William Waterhouse, A Tale from Decameron, 1916.
 Lady Lever Art Gallery, Liverpool

Mentre, nel sentire di molti, Europa pare tornato ad essere solo un nome geografico, e che europee siano rimaste solo le coppe di calcio, fa bene allo spirito riprendere in mano il Decameron


Boccaccio vi descrive un continente unito, anzi un continuum culturale, dove i confini hanno ben poco senso. Soprattutto, nelle sue pagine non trovano spazio gli stereotipi nazionali. I mercanti stranieri che compaiono nelle novelle possono essere alti o bassi, giovani o vecchi, grassi o magri. Possono anche essere, ovviamente, inglesi o tedeschi, ma la lingua madre è solo una  tra le tante  loro caratteristiche. Non certo quella determinante. Perché Boccaccio era, piuttosto, attento alle differenza di religione?  Nient’affatto. Gli ebrei di cui narra, sono semplicemente, delle persone. Sì: persone come tutte le altre. Se per caso, un po’ più oneste, un po’ più scrupolose, dei cristiani tra cui vivono. Detto questo, non si pensi che per Boccaccio gli uomini fossero tutti uguali. No, no. Lui li divideva in due precise categorie: quella degli scaltri e quella degli stolti. Ancora di questi tempi c’è chi sproloquia di un “antisemitismo naturale”, antico quanto l'Occidente e di cui, in fin dei conti, sarebbero responsabili gli stessi ebrei perché “si sa come sono fatti”. A Boccaccio poco importerebbe sapere se questo chi è fiammingo o toscano. Gli basterebbe sentire quel che dice per non metterlo tra gli scaltri.

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