John William Waterhouse, A Tale from Decameron,
1916.
Lady Lever Art Gallery, Liverpool
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Mentre, nel sentire di
molti, Europa pare tornato ad essere solo un nome geografico, e che europee
siano rimaste solo le coppe di calcio, fa bene allo spirito riprendere in mano
il Decameron.
Boccaccio vi descrive un continente unito, anzi un continuum culturale,
dove i confini hanno ben poco senso. Soprattutto, nelle sue pagine non trovano
spazio gli stereotipi nazionali. I mercanti stranieri che compaiono nelle novelle
possono essere alti o bassi, giovani o vecchi, grassi o magri. Possono anche
essere, ovviamente, inglesi o tedeschi, ma la lingua madre è solo una tra le tante loro caratteristiche. Non certo quella
determinante. Perché Boccaccio era, piuttosto, attento alle differenza di
religione? Nient’affatto. Gli ebrei di
cui narra, sono semplicemente, delle persone. Sì: persone come tutte le altre.
Se per caso, un po’ più oneste, un po’ più scrupolose, dei cristiani tra cui
vivono. Detto questo, non si pensi che per Boccaccio
gli uomini fossero tutti uguali. No, no. Lui li divideva in due precise categorie:
quella degli scaltri e quella degli stolti. Ancora di questi tempi c’è chi sproloquia
di un “antisemitismo naturale”, antico quanto l'Occidente e di cui, in fin dei
conti, sarebbero responsabili gli stessi ebrei perché “si sa come sono fatti”. A
Boccaccio poco importerebbe sapere se questo chi è fiammingo o toscano. Gli
basterebbe sentire quel che dice per non metterlo tra gli scaltri.
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