lunedì 9 febbraio 2015

IL PROFESSOR BORGES

e le sue idee sull'insegnamento.


Di Schüler, Ricordi di scuola, 2005
Acrilico su tela di 40 x 50 cm. Collezione privata.

In una delle sue Siete Noches, quella dedicata alla Poesia, Borges ricorda la propria esperienza di professore di Letteratura Inglese presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Buenos Aires. “Ho cercato”, scrive, “di prescindere il più possibile dalla storia della letteratura”. 


Tanto è vero che quando uno studente gli chiedeva una bibliografia sopra questo o quell’autore, lui si rifiutava di suggerirgliela perché: “Non importano le bibliografie. Dopo tutto Shakespeare non sapeva nulla di bibliografia scespiriana”. Piuttosto, lo esortava ad andare direttamente ai testi, ma senza che dovesse considerarlo un obbligo: “Se questi testi le piacciono, bene; e se non le piacciono, li lasci stare perché l’idea di una lettura obbligatoria è assurda: tanto varrebbe parlare di felicità obbligatoria”.
Ovvio che la posizione di Borges sottenda un’idea di letteratura come fatto innanzitutto estetico (come peraltro lui stesso precisa durante quella lezione), e quindi godibile anche conoscendo poco o nulla dei suoi autori e delle epoche in cui è stata creata, su cui molti non saranno d’accordo. Le sue parole sono, però, anche una dichiarazione di fede nella scrittura, nel suo potere di emozionare e raccontare. Ancor di più, di fede nell’uomo, nella sua capacita di cogliere la bellezza di un verso; innata quanto il suo bisogno di conoscere, di sapere come una storia vada a finire.
Sono idee, ad ogni modo, che poco o nulla hanno a che vedere con il modo in cui la letteratura è insegnata nelle nostre scuole. Gli autori, si “fanno”, ma di loro si legge poco o nulla. Lasciando stare il massacro compiuto nei confronti della Divina Commedia, ridotta ad un collage di Canti, per di più da “tradurre in italiano”, l’unica altra opera per solito letta da tutti è I Promessi Sposi. Letta si fa per dire. Anche questa sminuzzata, frantumata in una successione di capitoli affrontati lungo l’intero corso di uno o più anni scolastici. Neanche il povero Don Lisander scrivesse in Sanscrito o il suo romanzo fosse un complicatissimo (e, va da sé, noiosissimo) trattato. Di tutti gli altri autori, si leggono solo dei frammenti. Qualche poesia qua e là per i poeti; qualche pagina isolata per i romanzieri. Letture senza piacere, che paiono non avere altro scopo che quello di cavare una sufficienza alle interrogazioni.
Le cose non stanno così? Pensate, come qualche ostinato ottimista continua a ripetere, che le nostre scuole siano “le migliori del mondo”? Che i loro metodi di insegnamento, in particolare della letteratura, siano adeguati? Avete diritto alle vostre opinioni. Specie se siete tra quegli insegnanti che ritengono sacro ed intoccabile il programma ministeriale.
Da parte mia, posso solo ricordavi due aride cifre. Un italiano, in media, compra un solo libro l’anno. Anzi, un solo codice ISBN, e nel numero sono compresi gli almanacchi calcistici e i manuali di pesca sportiva. Non solo. La metà dei diplomati non compra neppure quello. Sì, per quanto incredibile possa sembrare, non sente il bisogno di leggere anche solo un libricino ogni 12 mesi. Evidentemente, assieme al “pezzo di carta”, la scuola non ha lasciato loro alcuna curiosità. Se è cosi, e mi pare difficile dimostrare il contrario, ha completamente fallito la propria missione.

1 commento:

  1. La mia testimonianza, ma in un ambiente particolare, è che alcuni ragazzi hanno poca capacità critica. E sono anche su Blogspot, Google+ e Twitter. Complimenti per i quadri.

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