mercoledì 22 ottobre 2014

LA MIA PAROLA PREFERITA



La mia parola italiana preferita è libellula. Non so dire le ragioni di questa mia predilezione; forse è il susseguirsi delle liquide onde di quelle elle a sembrarmi ad un tempo così dolce e così quintessenzialmente italiano. Per il suo suono, o forse per l’aspetto di quelle due doppie v, ma sicuramente senza riguardo al suo significato, la mia parola inglese preferita è awkward, che si dice di chi è goffo, o, per un qualche motivo, a disagio. In spagnolo amo azahar, il fiore dell’arancio,

lunedì 20 ottobre 2014

Cap. 9 - NIKKO NESNA




Le bimbe e i bimbi cantano “Nikkonesna”, nessuno lo sa, mentre escono dalla scuola, in file a dir il vero non troppo ordinate, sotto lo sguardo che cerca d’esser severo di due giovani insegnanti. Devono essere in partenza per una gita scolastica.  Qualcuno degli scolari più grandicelli porta delle borracce; la maggior parte di loro ha con sé dei sacchetti che è facile immaginare possano contenere dei panini, della frutta e altro da mangiare. Un bus li sta aspettando, in un piccolo spiazzo, una cinquantina di metri avanti a noi, sul nostro lato della strada. Sembra essere pronto a partire non appena i bambini saranno saliti; non posso ancora sentire il rumore del suo motore, ma posso già odorarne la puzza. 

L’autobus non sembra essere neppure troppo vecchio, ma è difficile trovare pezzi di ricambio e meccanici quando in giro c’è una guerra, e sembra davvero in cattive condizioni; dal suo scarico esce una densa nuvola scura che il vento che scende dalla montagna soffia verso di noi. Tiro su il vetro del finestrino.

Un vecchietto, con braccio una fascia colorata, su cui sono scritte delle parole che non capisco, ci fa segno di fermarci per lasciare che la scolaresca attraversi la strada. Una delle insegnati è bionda, con lunghi capelli lisci e un notevole paio di tette sotto un maglioncino azzurro aderente. Si gira verso di noi e ci sorride; un sorriso gentile, benevolo, che è il suo modo di chiederci scusa per l’attesa.

Slobo, seduto dietro il volante, le sorride di rimando, prima di rivolgersi a me: “Una maestrina come quella ti fa venir voglia di tornare a scuola”.

È il mio autista, la mia guida, il mio informatore e, anche se non ha mai tirato un pugno in tutta la sua vita adulta, tecnicamente sarebbe anche la mia guardia del corpo. Se non avesse qualche anno di troppo, ne deve compiere sessanta, però, della guardia del corpo avrebbe perlomeno l’aspetto; è alto, più di me di almeno cinque centimetri, e grosso, con le spalle larghe e un collo taurino; ha un filo di pancia, ma si muove con sorprendente agilità se deve farlo. Ha già avuto più di un’occasione di dimostrarmelo da quando siamo assieme: sono tempi difficili, questi; almeno lo sono qui, in questo paese.

Ha dei baffi, lunghi e all’ingiù,

giovedì 16 ottobre 2014

UNA SPORCA FACCENDA




L'estate in cui scrissi le “Lettere”, resterà memorabile soprattutto per una tragedia che sconvolse, seppur per pochi giorni, il quieto vivere di noi della fine del mondo. Una crisi tanto grave, e nella cui risoluzione ebbi un ruolo tanto importate, da convincermi, appena superata, a raccontarla agli amici del blog di un grande quotidiano, sui cui mi sfogavo allora, suppergiù in questo modo.


Finalmente posso mettere le mani su una tastiera, dopo un paio di difficili giornate passate a risolvere il più mondano dei problemi.

Difficile trovare le parole giuste per dire di cosa si è trattato, specie rivolgendomi a persone della vostra squisita sensibilità, ma ci proverò.

 Con le vacanze estive, la nostra casa in capo al mondo diventa meta del pellegrinaggio annuale di parenti ed amici; siamo in undici, ora, sotto questo tetto, e diventeremo sedici quando, nel prossimo fine settimana, arriveranno anche gli ultimi ospiti.
Siamo in undici, vi dicevo; undici bocche da sfamare e quindi, a stretto rigor di logica, come si può dedurre in base a minime conoscenze d’anatomia e fisiologia, undici culi a cui offrire un cesso.
La casa è debitamente grande e ha quattro bagni, con i conseguenti quattro vasi escretori di bella porcellana bianca, perciò, salvo qualche simpatico episodio d’affollamento durante le ore di punta, "occupato, un momento", che pure rafforzano i già saldi vincoli amicali e parentali, "porca vacca. Ho detto un momento; sto cagando", e contribuiscono al miglioramento delle relazioni transatlantiche, "I gotta take a shiiit", non abbiamo mai avuto veri problemi a soddisfare, con relativa tempestività e certa soddisfazione finale, i bisogni di chi passa l'estate da noi.

mercoledì 15 ottobre 2014

A PROPOSITO DI SCRITTURA



A
 proposito di scrittura. Auguro a chi continuamente ne auspica una che sia prima di tutto scarna, veloce e che vada dritta al proprio scopo, di finire sempre a letto con una persona, del sesso che più gli aggrada, con quelle stesse caratteristiche. E di mangiare hamburger, ovviamente di soia, per il resto dei suoi giorni. 




martedì 14 ottobre 2014

LA MUSA



A
vrà avuto otto o nove anni, la mia musa. Stavo aspettando che arrivasse la mia pizza e lei era lì, che gironzolava per il locale, con l’aria annoiata; la osservai per qualche istante, chiedendomi se fosse la figlia del titolare o di una cameriera, quindi tornai al libro che mi ero portato dietro. Fu lei a rivolgermi la parola (da giovane ero timidissimo con le donne, non importa di che età) per chiedermi cosa stessi leggendo. Non ricordo che libro fosse, ma state sicuri che non si sarà trattato di Ken Follet o di qualcuno della sua risma. No, non perché non li leggessi; solo che non mi sarei mai fatto vedere in giro con qualcosa di tanto plebeo: ero troppo ignorante per non voler cercare a tutti i costi di sembrare colto.
Quale che sia stata la mia risposta, ad ogni modo, subito dopo averla data, le chiesi: “E a te piace leggere?”.
“Sì”, mi rispose con uno di quei faccini tutti seri che riescono solo ai bambini, “ma preferisco scrivere. Non mi va di restarmene solo a guardare”.
Il giorno dopo andai a comprare la mia prima macchina da scrivere.