domenica 9 novembre 2014

SETTE SONETTI SCESPIRIANI






“Non so fino a che punto potrai apprezzarla, ma, a modo suo, è una testimonianza del rapporto che cerco di avere con i grandi del passato.
Può sembrare inutile una simile traduzione che, per rispettare metro e rima, deve introdurre altri e ben più gravi tradimenti dell’originale. Le parole italiane, con tutte le loro vocali, hanno infatti molte più sillabe delle loro corrispondenti inglesi. Questo fa sì che traducendo letteralmente,
cercando di conservare quanto più possibile il loro significato, quelli di Shakespeare si trasformano in versi di quattordici, quindici o ancor più sillabe. Per renderli con sole undici sillabe del sonetto italiano, e per di più conservando le rime, ho dovuto talvolta usare la sega e il martello, compiendo un’operazione tanto faticosa quanto irrispettosa, perlomeno dal punto di vista filologico.  Neppure il ritmo dell’originale è conservato, nonostante questi sforzi, non fosse altro che perché è impossibile, nella traduzione,  conservare gli accenti secondari dell’originale.
Perché allora ho dedicato tanto tempo e tanti sforzi alla traduzione di una buona metà dei sonetti? Per il semplice motivo che volevo capire la fatica del Poeta. Volevo comprendere appieno gli artifici che aveva utilizzato, rivivere con lui l’esaltazione del momento in cui, come per miracolo, si trova la parola giusta; quella che per lunghezza e rima è perfetta per quel verso. Volevo condividere la frustrazione che anche lui doveva aver provato quando una parola non si lasciava catturare; volevo sudare come lui per piegare e limarne un’altra fino a poterla incastrare a fianco delle altre.
Ero un ragazzotto pieno di sogni, in fondo, sia detto a mia scusante, ma non vi era nulla d’ignobile nel mio atteggiamento; dissezionando e ricostruendo i versi di Shakespeare volevo semplicemente scoprire, al di là del genio, l’uomo.
Volevo, insomma, diventare un amico di William. Anzi, di Bill”.

Da una delle Lettere dalla fine del mondo riferita ad una mia traduzione giovanile del XXIII Sonetto. Sono passati gli anni, non sono più un ragazzotto, ma cerco sempre di diventare amico di Bill.


XII

Quando conto l’ora che ’l tempo dice,
E il dì fier in vil notte affonda;
Quando osservo la viola che sfiorisce,
E ricci scuri ch’argento circonda;
Quando l’alte piante vedo ignude,
Che gia’l gregge  pararon da calure,
E l’estivo verde il covon chiude,
Sul carro con barbe bianche e dure,
Allor di  beltà tua  question faccio,
Che debb’andar tra quel ch’al tempo cede,
Ché dolce e bello non vanno a braccio
E muor un quando l’altro crescer vede;

La falce del tempo non ha difesa
Se non, tu colto, di figli l’offesa.

When I do count the clock that tells the time,
And see the brave day sunk in hideous night;
When I behold the violet past prime,
And sable curls, all silvered o'er with white;
When lofty trees I see barren of leaves,
Which erst from heat did canopy the herd,
And summer's green all girded up in sheaves,
Borne on the bier with white and bristly beard,
Then of thy beauty do I question make,
That thou among the wastes of time must go,
Since sweets and beauties do themselves forsake
And die as fast as they see others grow;

And nothing 'gainst Time's scythe can make defence
Save breed, to brave him when he takes thee hence


XXIII

Come imperfetto attor in scena,
Che  paura da sua parte tolle,
O come fiera belva  d’ira piena,
Cui troppa  forza  il  cuor  fa molle;
 Sì  in me non fido e scordo dire
La cerimonia del rito  d’amante,
E forza d’amor mio par svanire,
Pel basto d’ amor mio sì aitante.
Sia il mio libro eloquente
Muto messo del nudo mio petto,
Cerchi all’amor mio ricompense,
Più della lingua che più ha più detto.

O! Odi che ha scritto amor muto:
Ode con gl’occhi l'amante arguto.

As an umperfect actor on the stage,
Who with his fear is put beside his part,
Or some fierce thing replete with too much rage,
Whose strength´s abundance weakens his own heart;
 So I, for fear of trust forget to say
The perfect ceremony of lovers rite,
And in my love´s strength seems to decay,
O´vercharged with burden of my own love´s might.
O let my book be then the elocuent  
And mute pressagers of my speaken breast,
Plead for my love and look for recompense,
More than that tongue that more hath more expressed.

O! learn to hear what silent love have writ:
To hear with eyes belongs to lover´s fine wit.


XXXIII

Ho visto molte gloriose mattine
Con regal sguardo lusingar i monti
Baciar con viso d’or le verdi chine,
Con divin’alchimia dorar le fonti.
Poi lasciar le nubi più vili filar
In torma sul celeste suo viso,
E al triste mondo il volto celar,
Sì non visto fuggendo all’occaso:
Pur brillò ‘l mio sol  una mattina
Con trionfal splendor su’ mia  fronte;
Ahimè! Mio per un’ora appena,
Ora  nubi  me lo velaron pronte.

Non per ciò l’ amor mio si aberra;
Si macchian soli in ciel com’in terra

Full many a glorious morning have I seen
Flatter the mountain-tops with sovereign eye,
Kissing with golden face the meadows green,
Gilding pale streams with heavenly alchemy;
Anon permit the basest clouds to ride
With ugly rack on his celestial face,
And from the forlorn world his visage hide,
Stealing unseen to west with this disgrace:
Even so my sun one early morn did shine
With all triumphant splendor on my brow;
But out, alack! he was but one hour mine,
The region cloud hath mask'd him from me now.

Yet him for this my love no whit disdaineth;
Suns of the world may stain when heaven's sun staineth.


XLI

Que’ gentil torti che compie libertà,
Allor che dal tuo cuore son via,
S’addicon a’ tuoi anni e beltà,
Che tentazion ti segue ove tu sia.
Gentil tu sei, da esser vinto quindi
Bello tu sei e perciò da assaltar;
Qual figlio di donna, quan donna tenti,
Pria che vinca la può aspro lasciar?
Ma  lasciar  tu potresti  ’l mio posto,
E sgridar  beltà e  vaga gioventù,
Che ti portan coi lor vizi al punto
Da forzarti a franger due virtù:

Tentata da tua beltà  la sua,
Sleal a me per beltà la tua.

Those pretty wrongs that liberty commits,
When I am sometime absent from thy heart,
Thy beauty, and thy years full well befits,
For still temptation follows where thou art.
Gentle thou art, and therefore to be won,
Beauteous thou art, therefore to be assailed;
And when a woman woos, what woman's son
Will sourly leave her till he have prevailed?
Ay me! but yet thou mightst my seat forbear,
And chide thy beauty and thy straying youth,
Who lead thee in their riot even there
Where thou art forced to break a twofold truth:

Hers by thy beauty tempting her to thee,
Thine by thy beauty being false to me.


LX

Come l’onde van a sassosa riva
I nostri minuti  a fin  s’affrettan;
Un lasciando posto a quel ch’ arriva,
Con seguente faticar  si avanzan.
Nascita, maggior luci illuminan,
pian, a maturità che l’incorona va,
sua gloria vil’eclissi osteggian,
e tempo confonde quel che prima dà.
Tempo trafigge il fior di gioventù
e solchi scava sul viso di beltà,
di natura mangia le rare virtù,
e alla sua falce nulla ritto sta:

Ma spero ch’al tempo il mio verso stia,
Dispetto su’ man crudel, lode ti sia.

Like as the waves make towards the pebbled shore,
So do our minutes hasten to their end;
Each changing place with that which goes before,
In sequent toil all forwards do contend.
Nativity, once in the main of light,
Crawls to maturity, wherewith being crown'd,
Crooked eclipses 'gainst his glory fight,
And Time that gave doth now his gift confound.
Time doth transfix the flourish set on youth
And delves the parallels in beauty's brow,
Feeds on the rarities of nature's truth,
And nothing stands but for his scythe to mow:

And yet to times in hope, my verse shall stand
Praising thy worth, despite his cruel hand.


CVII

Non paure, né spirto di profeta
Del gran mondo sognante quel che verrà
Posson all’ amor  mio fissar meta,
Supposto destinato a confinata sorte
Eclissi sopportò la mortal luna,
gl’auguri’l proprio presagio dileggian;
Dubbio di certezza or s’incorona,
pace gli eterni ulivi proclaman.
Or gocce del  tempo più balsamico
Fan fresco’l’mi amor e mi dan morte,
Ma gli scamperò in  questo cantico
Mentr’offende la turpe muta corte.

E qui troverai tuo monumento
Quan de’ tiranni il nom sarà spento.

Not mine own fears, nor the prophetic soul
Of the wide world dreaming on things to come,
Can yet the lease of my true love control,
Supposed as forfeit to a confined doom.
The mortal moon hath her eclipse endured,
And the sad augurs mock their own presage;
Incertainties now crown themselves assured,
And peace proclaims olives of endless age.
Now with the drops of this most balmy time,
My love looks fresh, and Death to me subscribes,
Since, spite of him, I'll live in this poor rhyme,
While he insults o'er dull and speechless tribes:

And thou in this shalt find thy monument,
When tyrants' crests and tombs of brass are spent.


CXIX

Quale lacrima bevvi di sirene,
Da lambicchi infernali stillante,
Tra lor  volgendo paura e speme,
Ancor vinto quan mi vidi vincente!
Quali sbagli ‘l mio cuor fece sciocchi,
Quan felice più che mai si credette!
Come m’usciron dall’orbite gli occhi
Nel furor di questa febbre demente!
O bontà del mal! Ora  vero trovo
Che’l meglio è dal mal fatto migliore,
E’l diruto amor quan fatto nuovo
Cresce in beltà, più forte, maggiore.

Così torno a casa  castigato
E dal mal ho tre volte quel ch’ho dato.

What potions have I drunk of Siren tears,
Distill'd from limbecks foul as hell within,
Applying fears to hopes and hopes to fears,
Still losing when I saw myself to win!
 What wretched errors hath my heart committed,
Whilst it hath thought itself so blessed never!
How have mine eyes out of their spheres been fitted
In the distraction of this madding fever!
O benefit of ill! now I find true
That better is by evil still made better;
And ruin'd love, when it is built anew,
Grows fairer than at first, more strong, far greater.

So I return rebuked to my content
And gain by ill thrice more than I have spent.



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