lunedì 17 novembre 2014

LINGUE E DIALETTI. E LINGUE MORTE, SACRE, NOBILI, PRIMITIVE, LOGICHE...




Lingua e dialetto.
Dobbiamo a Noahm Chomsky l'unica differenziazione che abbia davvero senso, tra questi due termini. Una lingua, dice il filosofo americano, è un dialetto con un esercito.

L'Italiano e i suoi dialetti.
La nostra lingua nazionale, storicamente non ha dialetti. Quelli che chiamiamo così, il milanese o il palermitano, il veneziano o il napoletano, sono lingue vere e proprie, non certo versioni impoverite dell'Italiano, cui non li legano neppure rapporti genealogici. Non sono, detto altrimenti, nate dopo questo e da questo, ma sono altre lingue neo-latine, con una storia ed un'evoluzione tutte proprie.

Lingue locali: lingue morte e lingue sacre.
Quando muore una lingua? Quando mure l'ultimo che aveva potuto condurre al propria vita senza conoscerne altre, è l'unica risposta sensata a questa domanda. Vale a dire quando scompare l'ultimo che parlando solo quella lingua abbia avuto modo di crescere, raggiungere un livello di istruzione adeguato e lavorare. Qualunque altra definizione, cade corta. Se si badasse solo alla sua conoscenza ed al suo uso, infatti, anche una lingua come il Latino, studiata da milioni ed ancora  lingua ufficiale della Chiesa, andrebbe considerata viva, quando, con tutta evidenza, non lo è. Affermare questo, significa pure dire che sono morti la stragrande maggioranza dei nostri “dialetti”; che sono diventati, a tutti gli effetti, lingue sacre.
Li parliamo solo con chi ha avuto la nostra stessa iniziazione; li scriviamo (i pochissimi tra noi che lo fanno) più per dialogare con noi stessi  con il passato, con la nostra storia, che rivolgendoci ad altri e con gli occhi rivolti al futuro. Sono le lingue delle nostre preghiere più intime (e nel mio caso, perlomeno, delle mie rare imprecazioni) e ne serbiamo le parole come perle di una saggezza antica, come misteri sapienziali.  Son il ricordo del freddo e della fame; della stalla e del focolare. Sono la strada percorsa fino ad arrivare a noi. Sono tutto quel che non c'è più. Versiamo pure una lacrima, ma rassegnamoci: non ci sono più, se non nei nostri cuori, neanche loro.

Lingue nobili, lingue primitive e lager.
La differenziazione tra le lingue considerate nobili e quelle dette primitive,  può avere un senso solo sociologico. Intesa altrimenti, dice solo della superficialità di chi la compie. Ogni lingua, magari forgiando parole nuove o adottandone da altre lingue, può esprimere qualunque concetto; ogni lingua testimonia della complessità dell'animo umano. Contiene una traccia della scintilla che ci ha originato. Testimonia tutto il lunghissimo percorso che abbiamo compiuto da quando abbiamo lasciato le caverne (o la savana africana, se preferite). Racconta un storia lunga centinaia di migliaia d'anni. Di che farmi scuotere la testa quando sento definire una lingua più elevata di altre solo perché ha goduto di particolare prestigio per qualche secolo o, al massimo, un paio di millenni. Alti, sommi,  potranno essere i risultati ottenuti dalla cultura greca in un dato periodo, per fare un esempio, ma il greco non è in nulla più in nobile della lingua parlata da una tribù dimenticata della Nuova Guinea. Non solo. Pensare il contrario, arrivare ad affermare che la lingua X è oggettivamente superiore alle altre, è a un solo passo di distanza dal dire che la popolazione che la parla è una “razza eletta”. Col senno di poi, la strada che  conduce dai  Discorsi alla nazione tedesca, in cui Fitche sosteneva la purezza e la superiorità del proprio idioma, ai campi di concentramento, appare dritta e chiara.

Lingue belle e lingue brutte.
Ci sono lingue che trovo bellissime e altre di cui non sopporto i suoni. Mi piacciono tutte quelle che obbediscono a regole di armonia vocalica, come l'ungherese, e amo la cantilena del gallese (di cui conoscerò al massimo dieci parole), mentre  il cinese, specie quando è cantato, quasi mi disturba. Non sono però tanto stupido da affermare che la lingua X sia oggettivamente bella o che la Y sia sicuramente brutta. Mi rendo perfettamente conto che le mie preferenze sono soggettive (come quelle di tutti); spiegabili solo nei termini della mie personali storie e sensibilità. Mi rendo pure conto, quando sento affermare che una lingua, di solito la propria, sia “la più bella del mondo”, di trovarmi di fronte ad un nazionalista. Vale a dire, inglese, francese, tedesco, spagnolo, ungherese, portoghese o italiano che sia (sì, ho sentito dire cosi di tutte queste lingue e probabilmente di qualcun'altra), so per certo di essere davanti ad un idiota.

Lingue logiche.
Poche cose mi scandalizzano quanto sentir dire, come alle nostra latitudini accade di solito con il Latino, ma come ho pure sentito affermare a riguardo del tedesco, del francese e, udite udite, dello spagnolo, che una lingua sia logica, mentre le altre non lo sarebbero o lo sarebbero meno. Siete in grado di giudicare se una frase italiana sia corretta o meno? Certo che sì. Bene, non serve altro per dimostrare che la nostra lingua obbedisca a ferree regole; che abbia quindi una propria e rigorosa logica. E lo stesso può dirsi di qualunque altra lingua; anche di quella parlata solo da un paio di migliaia di pastori in un angolo sperduto della Siberia.

Le lingue facili: l'inglese e l'italiano.
Solo chi non lo parla, o lo parla malissimo, può sostenere che l' inglese sia facile. Impararlo bene, non fosse altro che per la straordinaria complessità della sua ortografia, è un compito tanto difficile quanto l'apprendimento di qualunque altra lingua che sia altrettanto distante dalla nostra. Concetto fondamentale, quest'ultimo. Non esistono lingue più semplici di altre; ve ne sono alcune che impariamo con meno fatica solo perché assomigliano di più a quella (o a quelle) che già conosciamo. Vi pare facile, l'italiano? Provate ad insegnarlo ad uno straniero e capirete subito che non è cosi. Non è difficile far capire il nostro sistema verbale a chi parla lingue, come il francese o lo spagnolo, vicinissime all nostra, ma servono sforzi notevoli, a chi conosce solo il tedesco o l'inglese, per ficcarsi nella testa le nostre complicatissime coniugazioni.


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