venerdì 31 ottobre 2014

I NOMI DEL NERO E L'ESTETICA DEGLI ALTRI

Noi diciamo sempre nero, ma i Romani dicevano niger, se quel nero era lucido, e ater se era opaco. Dove noi vediamo un colore, detto altrimenti, loro ne vedevano due tanto diversi da meritarsi nomi così differenti. E dove noi diciamo e vediamo solo bianco, loro vedevano albus, se opaco, e candidus, se brillante. Distinzioni simili sono fatte anche da molte lingue africane ed è facile capire come per gli scultori che le parlano, l'opposizione liscio-ruvido, e quindi niger-ater, sia tanto importante quanto è quella tra pieno e vuoto per uno scultore occidentale. Tutto questo, per dire come sia tutt'altro che scontato che la nostre siano le uniche sensibilità ed estetiche possibili. Non solo; che in passato si è arrivati a negare l'esistenza del pensiero estetico di altre civiltà, lontane dalla nostra nel tempo o nello spazio, solo perché non conoscevamo il lessico e la grammatica del linguaggio artistico in cui si esprimevano.


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giovedì 30 ottobre 2014

BALLOTTE, BALOTI, BELLOTAS E ALTRE ROTONDITÀ





Grazie a Macek Zini, ho scoperto che in Toscana le castagne lesse si chiamano ballotte, un termine molto prossimo al beloti di certi dialetti lombardi e allo spagnolo bellotas che, però, indica le ghiande della quercia.  Non ci è voluto molto a scoprire, semplicemente consultando i dizionari, 

mercoledì 29 ottobre 2014

Cap. 4 - QUARTO POTERE



Tenevo la rivista aperta tra le mani e leggevo il mio articolo per la millesima volta. Non potevo credere che lo avessero pubblicato e che là, sotto il titolo, scritto in caratteri forse troppo piccoli, ma perfettamente leggibili, ci fosse il mio nome.
Uno dei miei sogni giovanili si era fatto realtà; ero diventato un giornalista: le mie parole, i mei pensieri, i miei stessi ideali erano lì, nero su bianco, a disposizione di chiunque volesse leggerli, ovunque, in qualunque continente. Non erano, frasi e idee, più solo mie: appartenevano a tutta l’umanità. Per sempre.
Ora sapevo per quale ragione ero stato messo al mondo; quale avrebbe dovuto essere lo scopo della mia vita. Avevo finalmente trovato, per usare un’espressione della mia cattolicissima nonna materna, la mia vera vocazione.
Nulla, nell’intero universo, sarebbe stato grande abbastanza da reggere il paragone con la sensazione di totale appagamento che provavo in quel momento. Era la più grande delle gioie possibili; la più perfetta e completa delle felicità.
Mi pareva impossibile che qualcosa di così assolutamente incredibilmente fantasticamente meraviglioso stesse accadendo a me, proprio a me. Dovevo dirlo a qualcuno.
Andai al telefono e composi quello che, per quasi due anni, era stato anche il mio numero. Nessuno rispose. Non me ne stupii, dopo tutto; sapevo che ben difficilmente avrei trovato Valeria ancora a casa, la mattina così tardi. Avevo cercato di raggiungerla lì solo perché non potevo fare altrimenti; i telefonini c’erano già, a quel tempo, ma erano tutt’altro che “ini”, grandi come mattoni, e terribilmente costosi. Una roba da manager o comunque da straricchi e Vale non era certo una donna in carriera e ricca sembrava destinata a non diventarlo mai.
Scrollai le spalle; l’avrei chiamata durante la serata, quando sarebbe tornata a casa dopo l’allenamento.

lunedì 27 ottobre 2014

MALEVIC FONTANA RHOTKO


Malevic' viaggiò fino ai limiti della pittura e tornò indietro.

Fontana arrivò fin là, squarciò la tela e cercò di andare oltre.

Rhotko restò, con le vene tagliate, a contemplare l'abisso.



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E` LA VERA MADDALENA DI CARAVAGGIO

E’ la vera Maddalena.

Lo annuncia Mina Gregori, rivelando di aver ritrovato uno dei quadri che il pittore aveva con sé nel suo ultimo viaggio. L’originale di un capolavoro noto solo attraverso quelle che ora appaiono essere, tutte, solo delle copie.



Porto Ercole, era allora parte degli Stati dei presidi spagnoli di Toscana e una feluca la collegava regolarmente con Napoli. Fu questo, probabilmente, che fece pensare a Michelangelo Merisi da Caravaggio, che si trovava a Palazzo Cellammarre, a due passi dalla Riviera di Chiaia, ospite di Costanza Colonna Marchesa di Caravaggio, di servirsi di questa imbarcazione per rientrare inosservato nello Stato della Chiesa ed aspettare, a poca distanza da Roma, un perdono papale che si dava per certo e prossimo. La feluca, attraccò segretamente a Palo, presso Ladispoli, allora feudo degli Orsini, vi sbarcò l’artista, ma, per una qualche ragione, dovendo immediatamente ripartire per Porto Ercole, non i suoi bagagli. Tra questi, importantissimi per l’immediato futuro di Caravaggio, i quadri con cui si riprometteva di ringraziare il Cardinale Scipione Borghese per l’aiuto che gli aveva dato. Opere che rappresentavano, insomma, il prezzo delle sua libertà e che doveva a tutti i costi recuperare. Per questa ragione, ripartì subito per Porto Ercole. Viaggiò via terra, però, e nell’attraversare in piena estate gli acquitrini della costa laziale, si ammalò di “febbri”. Arrivò a Porto Ercole, ma solo per morirvi, il 18 luglio 1610.
Il Cardinale Borghese, saputo della scomparsa del pittore, mise in azione la propria rete di contatti per scoprire dove fossero finiti quei quadri che considerava suoi. Glielo fece sapere con una lettera, il 29 luglio di quell’anno, il Nunzio di Napoli, Deodato Gentile: “Re.mo. p.ron Colend.mo. Il povero Caravaggio non è morto in Procida, ma a port'hercole ove ammalatosi ha lasciato la vita. La felucca ritornata riportò le robe restateli in casa della S.ra Marchese di Caravaggio che habita a Chiaia, e di dove era partito il Caravaggio. Ho fatto subito vedere se vi sono li quadri e ritrovo che non sono più in essere, eccetto tre, li doi San Gio.anni e la Maddalena, e sono in sud.a casa della S.ra Marchese, quale ho mandato subito a pregare che vogli tenerli ben custoditi, che non si guastino, senza lasciarli vedere o andar in mano di alcuno, perché erano destinati e si hanno da trattenere per V.S. Ill.ma”.

mercoledì 22 ottobre 2014

LA MIA PAROLA PREFERITA



La mia parola italiana preferita è libellula. Non so dire le ragioni di questa mia predilezione; forse è il susseguirsi delle liquide onde di quelle elle a sembrarmi ad un tempo così dolce e così quintessenzialmente italiano. Per il suo suono, o forse per l’aspetto di quelle due doppie v, ma sicuramente senza riguardo al suo significato, la mia parola inglese preferita è awkward, che si dice di chi è goffo, o, per un qualche motivo, a disagio. In spagnolo amo azahar, il fiore dell’arancio,

lunedì 20 ottobre 2014

Cap. 9 - NIKKO NESNA




Le bimbe e i bimbi cantano “Nikkonesna”, nessuno lo sa, mentre escono dalla scuola, in file a dir il vero non troppo ordinate, sotto lo sguardo che cerca d’esser severo di due giovani insegnanti. Devono essere in partenza per una gita scolastica.  Qualcuno degli scolari più grandicelli porta delle borracce; la maggior parte di loro ha con sé dei sacchetti che è facile immaginare possano contenere dei panini, della frutta e altro da mangiare. Un bus li sta aspettando, in un piccolo spiazzo, una cinquantina di metri avanti a noi, sul nostro lato della strada. Sembra essere pronto a partire non appena i bambini saranno saliti; non posso ancora sentire il rumore del suo motore, ma posso già odorarne la puzza. 

L’autobus non sembra essere neppure troppo vecchio, ma è difficile trovare pezzi di ricambio e meccanici quando in giro c’è una guerra, e sembra davvero in cattive condizioni; dal suo scarico esce una densa nuvola scura che il vento che scende dalla montagna soffia verso di noi. Tiro su il vetro del finestrino.

Un vecchietto, con braccio una fascia colorata, su cui sono scritte delle parole che non capisco, ci fa segno di fermarci per lasciare che la scolaresca attraversi la strada. Una delle insegnati è bionda, con lunghi capelli lisci e un notevole paio di tette sotto un maglioncino azzurro aderente. Si gira verso di noi e ci sorride; un sorriso gentile, benevolo, che è il suo modo di chiederci scusa per l’attesa.

Slobo, seduto dietro il volante, le sorride di rimando, prima di rivolgersi a me: “Una maestrina come quella ti fa venir voglia di tornare a scuola”.

È il mio autista, la mia guida, il mio informatore e, anche se non ha mai tirato un pugno in tutta la sua vita adulta, tecnicamente sarebbe anche la mia guardia del corpo. Se non avesse qualche anno di troppo, ne deve compiere sessanta, però, della guardia del corpo avrebbe perlomeno l’aspetto; è alto, più di me di almeno cinque centimetri, e grosso, con le spalle larghe e un collo taurino; ha un filo di pancia, ma si muove con sorprendente agilità se deve farlo. Ha già avuto più di un’occasione di dimostrarmelo da quando siamo assieme: sono tempi difficili, questi; almeno lo sono qui, in questo paese.

Ha dei baffi, lunghi e all’ingiù,

giovedì 16 ottobre 2014

UNA SPORCA FACCENDA




L'estate in cui scrissi le “Lettere”, resterà memorabile soprattutto per una tragedia che sconvolse, seppur per pochi giorni, il quieto vivere di noi della fine del mondo. Una crisi tanto grave, e nella cui risoluzione ebbi un ruolo tanto importate, da convincermi, appena superata, a raccontarla agli amici del blog di un grande quotidiano, sui cui mi sfogavo allora, suppergiù in questo modo.


Finalmente posso mettere le mani su una tastiera, dopo un paio di difficili giornate passate a risolvere il più mondano dei problemi.

Difficile trovare le parole giuste per dire di cosa si è trattato, specie rivolgendomi a persone della vostra squisita sensibilità, ma ci proverò.

 Con le vacanze estive, la nostra casa in capo al mondo diventa meta del pellegrinaggio annuale di parenti ed amici; siamo in undici, ora, sotto questo tetto, e diventeremo sedici quando, nel prossimo fine settimana, arriveranno anche gli ultimi ospiti.
Siamo in undici, vi dicevo; undici bocche da sfamare e quindi, a stretto rigor di logica, come si può dedurre in base a minime conoscenze d’anatomia e fisiologia, undici culi a cui offrire un cesso.
La casa è debitamente grande e ha quattro bagni, con i conseguenti quattro vasi escretori di bella porcellana bianca, perciò, salvo qualche simpatico episodio d’affollamento durante le ore di punta, "occupato, un momento", che pure rafforzano i già saldi vincoli amicali e parentali, "porca vacca. Ho detto un momento; sto cagando", e contribuiscono al miglioramento delle relazioni transatlantiche, "I gotta take a shiiit", non abbiamo mai avuto veri problemi a soddisfare, con relativa tempestività e certa soddisfazione finale, i bisogni di chi passa l'estate da noi.

mercoledì 15 ottobre 2014

A PROPOSITO DI SCRITTURA



A
 proposito di scrittura. Auguro a chi continuamente ne auspica una che sia prima di tutto scarna, veloce e che vada dritta al proprio scopo, di finire sempre a letto con una persona, del sesso che più gli aggrada, con quelle stesse caratteristiche. E di mangiare hamburger, ovviamente di soia, per il resto dei suoi giorni. 




martedì 14 ottobre 2014

LA MUSA



A
vrà avuto otto o nove anni, la mia musa. Stavo aspettando che arrivasse la mia pizza e lei era lì, che gironzolava per il locale, con l’aria annoiata; la osservai per qualche istante, chiedendomi se fosse la figlia del titolare o di una cameriera, quindi tornai al libro che mi ero portato dietro. Fu lei a rivolgermi la parola (da giovane ero timidissimo con le donne, non importa di che età) per chiedermi cosa stessi leggendo. Non ricordo che libro fosse, ma state sicuri che non si sarà trattato di Ken Follet o di qualcuno della sua risma. No, non perché non li leggessi; solo che non mi sarei mai fatto vedere in giro con qualcosa di tanto plebeo: ero troppo ignorante per non voler cercare a tutti i costi di sembrare colto.
Quale che sia stata la mia risposta, ad ogni modo, subito dopo averla data, le chiesi: “E a te piace leggere?”.
“Sì”, mi rispose con uno di quei faccini tutti seri che riescono solo ai bambini, “ma preferisco scrivere. Non mi va di restarmene solo a guardare”.
Il giorno dopo andai a comprare la mia prima macchina da scrivere.