sabato 13 maggio 2017

VINCENZO RABITO, TERRA MATTA

“Se all'uomo in questa vita non ci incontro aventure, non ave niente darracontare.”





Cos’è la letteratura? Non lo so e non so neppure se abbia senso porsi la domanda. Credo, però, di saperla riconoscere quando la incontro, proprio come mi è  capitato nelle pagine di questo libro.
Letteratura, per giunta, nella sua forma più originale e pura: quella che nasce dall’urgenza del racconto; dalla necessità della testimonianza. Sono più o meno le parole che uso per Rigoni Stern, Levi e Fenoglio. Per gli scrittori che più amo. Tra loro, da qualche giorno c’è anche Vincenzo Rabito: siciliano, classe 1899, bracciante, soldato  e cantoniere. Un semianalfabeta, arrivato alla licenza elementare a 35 anni, che non è stato solo uno scrittore, ma un eroe della scrittura.  Nessuna esagerazione.  Un titolo che merita per passare gli anni tra il ’68 e il ’75 chiuso in una stanza, lontano da chiunque e all’insaputa di tutti,  per riempire con la macchina da scrivere del figlio le 1027 pagine  del racconto della propria vita.  Uno sforzo immenso.  Omerico. 1027 pagine scritte con interlinea zero, senza margini,  senza spazi e staccando una parola dall’altra solo con un punto e virgola, che sono anche una contro-storia d’Italia. Due guerre mondiali, il fascismo e la ricostruzione narrati con la voce della “carne paziente”; di chi  è solito subire in silenzio.  Una voce che si esprime in una lingua tutta sua,  che non rispetta il confine tra italiano e dialetto e obbedisce a una propria grammatica.  Non un dettaglio “verista”, però.  Nulla che giustifichi alzate di sopracciglio. Può essere ingenuo l’uso di qualche isolata parola colta, ma il risultato finale non ha nulla di naif: lontano dalla banalità anche linguista del quotidiano, sembra figlio di una memoria che potrebbe essere antica quanto il mondo e destinata a durare per sempre. Qualcosa di cui Rabito doveva essere in qualche modo consapevole. Finita la sua opera, non lo ha mostrata a nessuno, ma neppure l’ha distrutto. Lo ha messa da parte, in attesa che qualcuno, prima o poi, lo ritrovasse. E’ accaduto una ventina d’anni dopo la sua morte e dal 2006 trovarla in libreria, in una versione ridotta e con una punteggiatura più ortodossa, in un’edizione di Einaudi. Un libro di cui, per mia vergogna, ho saputo solo da poco. Una lettura che non solo consiglio; che metto tra quelle che considero fondamentali. Per capire il nostro paese e non solo.

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