“Se all'uomo in questa vita non ci incontro aventure, non ave niente
darracontare.”
Cos’è la letteratura? Non lo so e non so neppure se abbia senso porsi la
domanda. Credo, però, di saperla riconoscere quando la incontro, proprio come mi è capitato nelle pagine di questo libro.
Letteratura, per giunta, nella sua forma più
originale e pura: quella che nasce dall’urgenza del racconto; dalla necessità
della testimonianza. Sono più o meno le parole che uso per Rigoni Stern, Levi e
Fenoglio. Per gli scrittori che più amo. Tra loro, da qualche giorno c’è anche Vincenzo
Rabito: siciliano, classe 1899, bracciante, soldato e cantoniere. Un semianalfabeta, arrivato alla
licenza elementare a 35 anni, che non è stato solo uno scrittore, ma un eroe
della scrittura. Nessuna esagerazione. Un titolo che merita per passare gli anni tra
il ’68 e il ’75 chiuso in una stanza, lontano da chiunque e all’insaputa di
tutti, per riempire con la macchina da
scrivere del figlio le 1027 pagine del
racconto della propria vita. Uno sforzo
immenso. Omerico. 1027 pagine scritte
con interlinea zero, senza margini, senza
spazi e staccando una parola dall’altra solo con un punto e virgola, che sono anche
una contro-storia d’Italia. Due guerre mondiali, il fascismo e la ricostruzione
narrati con la voce della “carne paziente”; di chi è solito subire in silenzio. Una voce che si esprime in una lingua tutta
sua, che non rispetta il confine tra
italiano e dialetto e obbedisce a una propria grammatica. Non un dettaglio “verista”, però. Nulla che giustifichi alzate di sopracciglio. Può
essere ingenuo l’uso di qualche isolata parola colta, ma il risultato finale
non ha nulla di naif: lontano dalla banalità anche linguista del quotidiano, sembra
figlio di una memoria che potrebbe essere antica quanto il mondo e destinata a
durare per sempre. Qualcosa di cui Rabito doveva essere in qualche modo
consapevole. Finita la sua opera, non lo ha mostrata a nessuno, ma neppure l’ha
distrutto. Lo ha messa da parte, in attesa che qualcuno, prima o poi, lo
ritrovasse. E’ accaduto una ventina d’anni dopo la sua morte e dal 2006 trovarla
in libreria, in una versione ridotta e con una punteggiatura più ortodossa, in
un’edizione di Einaudi. Un libro di cui, per mia vergogna, ho saputo solo da
poco. Una lettura che non solo consiglio; che metto tra quelle che considero
fondamentali. Per capire il nostro paese e non solo.
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