mercoledì 25 marzo 2015

SALINGER, IL GIOVANE HOLDEN E LA VOCAZIONE DELLO SCRITTORE

Da una delle lettere

Di Schuler, Il poeta, 2007. Acrilico su tavola di 50 x 50 cm.



(...) Forse sarebbe meglio che ti salutassi qui, ma tutto questo parlare di vocazione mi ha riportato alla mente il nome di Jerome David Saliger, al cui capolavoro avevo già pensato, a dire il vero, scrivendoti la prima parte di questa lettera.


Cosa c’entra il baccalà alla palermitana con The Catcher in the Rye, Il giovane Holden?
Avevo quindici anni quando lessi questo libro per la prima volta e mi colpì moltissimo una frase che incontrai a metà della sua prima pagina: “L’aria era fredda come i capezzoli di una strega”. Inutile dire quale fu la parola che mi turbò, in quell’epoca di tempeste ormonali, e sai che sono troppo gentiluomo per dirti quale immagine di Charo, rimasta nella mia memoria dalla sera seguente a quella in cui cucinai quel baccalà, me ne abbia fatto ricordare.
Stai sorridendo, ma pensi anche che abbia sprecato il povero Holden leggendolo ad un età in cui non ero in grado di apprezzarlo a fondo?
Non penso vi sia un momento migliore, invece, per affrontare un’opera che ha per temi centrali proprio il dolore del crescere e la perdita dell’innocenza; il desiderio di entrare nel mondo degli adulti, quasi per un richiamo di natura, e la paura che abbiamo di finire per appartenere ad una società che sentiamo come falsa e ingiusta.

Temi che valgono per tutti gli adolescenti, arrivai a considerare rileggendolo poi, quando delle mia innocenza era ormai rimasto ben poco, persa in mezzo alle bugie che per sopravvivere dentro la comunità degli adulti dobbiamo raccontare anche a noi stessi. Non solo; temi perfettamente europei; quelli di un bildungsroman prototipale, come potrebbe averlo scritto un nipote di Mann e, soprattutto, di Musil.
Allora potei rivalutare anche la scrittura di Saliger che da ragazzino, per via di quel suo linguaggio tanto piano, quasi povero, non mi era sembrato  meritasse troppe attenzioni. Con la sensibilità affinata da un buon ventennio di letture, compresi come lo stile de Il giovane Holden, che mi era apparso così colloquiale, familiare se vuoi, fosse in realtà il risultato di un fraseggio dalla struttura estremamente raffinata, che ricordava Joyce, nell’uso del flusso di coscienza come tecnica narrativa, e addirittura Proust nella capacità di avviare digressioni e aprire successive parentesi.

Parrebbe un romanzo scritto in mezzo all’Atlantico, arrivai a dirmi, con un piede in America e l’altro in Europa, di quella che avevo fin lì considerato un’opera tipicamente statunitense. Compresi, soprattutto, fino a che punto fosse un capolavoro assoluto, di quelli che tutti noi che pestiamo su una tastiera vorremmo esser capaci di concepire.

Mi venne voglia di sapere qualcosa di Salinger, di cui solo conoscevo il nome, e delle sue altre opere che non avevo ancora letto.
Permettimi di riassumerti i risultati di  quelle mie ricerche, perché credo siano utili  per capire tanto l’unicità della sua figura di scrittore, quanto perché rientria nel nostro discorso sulla vocazione.
The Catcher in the Rye, Il giovane Holden, con cui è arrivato alla celebrità ed è entrato nella storia delle letteratura, è stato il primo romanzo che Salinger, fin lì autore di qualche racconto apparso sul New Yorker Magazine, abbia pubblicato, nel 1951.
Dopo di questo, bisogna attendere il 1961 perché due suoi racconti lunghi Franny e Zooey, già apparsi separatamente, siano riuniti in un volume. Lo stesso accade nel 1963 quando è pubblicato il volume in cui sono stati  riunti altri due racconti apparsi sulla solita rivista, Raise high the roof beam, Carpenters, Alzate l’architrave, carpentieri, eSeymour.An introduction, Seymour. Introduzione.
Da allora e fino alla sua morte avvenuta nel 2010, Salinger non ha più pubblicato nulla, con l’eccezione di un ultimo racconto dato alle stampe nel 1965. Mezzo secolo di silenzio pressoché assoluto, in cui lo scrittore ha rilasciato solo un paio d’interviste e ha vissuto in un paesino del New Hampshire, lontano da tutto e da tutti.
Una lunghissima crisi creativa, la sua? Una specie di ergastolo dell’ispirazione, punizione per un successo troppo grande ed arrivato troppo presto?
No. A sentire i pochissimi che frequentava, Salinger ha continuato a scrivere per tutti quegli anni, con metodo e disciplina, terminando un’opera dopo l’altra. Non consegnava i propri manoscritti agli editori, che li avrebbero pagati profumatamente, per una scelta che spiegò così: “Non pubblicare mi dà una meravigliosa tranquillità...Mi piace scrivere. Amo scrivere. Ma scrivo solo per me stesso e per mio piacere”.
Non so fino a che punto le cose stiano così, ma preferisco pensare che Salinger fosse talmente fedele alla propria vocazione di scrittore da rinunciare anche ai suoi frutti pur di restarle fedele; che abbia evitato il contatto con editori e lettori, rinunciando al denaro che ne  sarebbe derivato, per scrivere senza distrazioni e  davvero a proprio piacimento. Motivazioni che credo possano spiegare anche il suo bisogno di riservatezza; la sua rinuncia, per così dire, alla fama.
A questo proposito, mi ero appuntato un’altra sua frase: “Il desiderio che uno scrittore ha di anonimato/oscurità è la seconda dote più importante che gli sia stata affidata”.
Dici che mi somiglia? Nel bisogno di tranquillità certamente, anche se non è certo per sfuggire ad una fama che non ho mai avuto che vivo in modo simile al suo. Niente a che vedere con le sue ragioni, poi, quelle per cui io non ha mai pubblicato un romanzo. Io scrivo anche per me stesso, ma ho bisogno di avere dei lettori; me ne basta uno, ma sogno di averne milioni. Se ho tenuto per me tutto quello che ho completato sino ad ora, Reader, è per il semplicissimo motivo che non valeva la pena pubblicarlo. “Non ci sono capolavori nei cassetti” ha detto qualcuno. La frase vale anche oggi, sostituendo hard-disc alla sua ultima parola, e sicuramente vale per quanto mi riguarda.
Perché persevero? Sì: perché scrivere è la mia vocazione.
E se sono riuscito a spiegarti cosa significa per me, sai già che continuerò, proverò e riproverò fino a quando, domani o tra venti anni, se ci sarò ancora, riuscirò a farlo bene.

In un modo, in un altro o, se necessario, in un altro ancora.

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